WhatsApp: spiare le conversazioni del partner è reato, ora è ufficiale

La Cassazione si è espressa in merito alla possibilità che qualcuno possa sbirciare le conversazioni del partner senza consenso.

Curiosare nel telefono del partner o dell’ex, anche se si conosce il codice di sblocco, è reato. Lo ha stabilito la Cassazione, con una sentenza del 27 gennaio, condannando un uomo che aveva utilizzato le chat WhatsApp private della sua ex moglie in un procedimento legale.

Il caso è stato riportato da Il Messaggero e ha fatto discutere. L’uomo, che conosceva la password del telefono della sua ex, aveva recuperato le conversazioni su WhatsApp tra lei e il suo datore di lavoro e le aveva presentate in tribunale, sostenendo che contenessero informazioni utili per tutelare il figlio. Inoltre, ha dichiarato di non aver nemmeno sbloccato il telefono, perché la chat sarebbe stata già aperta sullo schermo.

Per i giudici non ci sono scuse: spiare le chat WhatsApp del partner è reato

La Cassazione, però, ha respinto completamente questa giustificazione. Nella sentenza si legge chiaramente che conoscere il codice di sblocco non dà il diritto di usare il telefono di qualcun altro senza consenso. Anche se la password è stata condivisa in passato, questo non autorizza ad accedere ai dati in un secondo momento senza permesso. Sia chiaro: il discorso riguarda WhatsApp così come qualsiasi altro utilizzo che si sceglie di fare di un dispositivo non proprio.

L’uomo è stato quindi condannato per accesso abusivo a un sistema informatico e violazione della corrispondenza, con l’aggravante di aver utilizzato il contenuto delle chat in un procedimento giudiziario.

Cosa dice la legge in questi casi

La legge sembra essere molto chiara: nel caso in cui una persona dovesse pensare che in un telefono ci sono informazioni utili per un processo o per un’indagine, c’è il modo per potervi avere accesso. Bisogna però chiedere al giudice di disporre l’acquisizione ufficiale dei dati.

Entrare direttamente nello smartphone di un’altra persona può portare a gravi conseguenze sul lato penale in quanto è reato. Con la sentenza in questione dunque la protezione della privacy digitale degli utenti viene ulteriormente rafforzata. Non c’entra il rapporto personale che si può avere con quella persona: la violazione della sua sfera privata può corrispondere a reato anche se si tratta di un semplice smartphone.

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