Era il 19 febbraio 2014 quando pubblicammo la storica notizia dell’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook per la somma di 19 miliardi di dollari.
Sono passati ormai quasi 10 anni da quando sono iniziati i primi colloqui tra Mark Zuckerberg e i vertici della piattaforma di messaggistica istantanea fondata a inizio 2009 da Jan Koum e Brian Acton (entrambi ex Yahoo!).
Delle frizioni tra Koum-Acton e la dirigenza di Facebook in seguito all’acquisizione abbiamo parlato spesso in passato: i due hanno infatti rassegnato le loro dimissioni, rispettivamente, nel 2017 e nel 2018.
Koum sbattè la porta perché in forte disaccordo con alcune scelte legate alla gestione della privacy e degli algoritmi crittografici mentre Acton lanciò addirittura la campagna DeleteFacebook.
Uno dei dirigenti di WhatsApp all’epoca all’acquisizione era Neeraj Arora, direttore commerciale dell’azienda.
In questi giorni Arora ha raccontato i fatti sul suo profilo Twitter dichiarandosi dispiaciuto per aver avallato la mossa di Facebook e la cessione della proprietà di WhatsApp a Zuckerberg.
Dopo i primi tentativi di acquisizioni e una serie di rifiuti da parte di WhatsApp, Facebook tornò alla carica nel 2014 promettendo che l’applicazione sarebbe continuata ad esistere così com’era, non sarebbe stata inserita alcuna pubblicità, nessuna raccolta dei dati degli utenti e nessun tipo di tracciamento cross-platform. Si parlava di un posto nel consiglio di amministrazione di Facebook per Koum, dell’indipendenza del team di WhatsApp sulle decisioni relative al prodotto, di un ufficio dedicato a Mountain View e altro ancora.
Secondo Arora i patti non sarebbero stati rispettati e nonostante oggi WhatsApp continui a essere la seconda piattaforma di comunicazione più utilizzata in assoluto a livello mondiale (più di Instagram e di Facebook Messenger), essa è soltanto “l’ombra del prodotto in cui abbiamo riversato i nostri cuori e che volevamo realizzare per gli utenti“, scrive l’ex direttore commerciale. “E non sono l’unico a rimpiangere che WhatsApp sia diventato parte di Facebook. Per far evolvere l’ecosistema tech dobbiamo anche parlare di come modelli di business perversi provochino il fallimento di prodotti, servizi e idee ben congegnati“.
Ricordate quando WhatsApp annunciò che avrebbe iniziato a far pagare un abbonamento annuale di pochi centesimi dopo aver offerto gratuitamente un intero anno di utilizzo dell’applicazione? Ricordate come tanti utenti si sono lamentati di dover pagare meno di un euro all’anno per continuare a usare l’app sulla quale stavano incollati tutto il giorno minacciando di smettere di utilizzarla? Anche quelle prese di posizione, sicuramente, hanno contribuito a far maturare la scelta di vendere la proprietà di WhatsApp a Facebook.