Il Web degli albori, quello ideato da Tim Berners-Lee, era fatto di tanti documenti interconnessi tramite collegamenti ipertestuali (hyperlink). Quei link esistono ancora oggi e restano “il sale” del Web ma ci sono tante novità all’orizzonte ed è per questo che da un po’ di tempo si parla con sempre maggior entusiasmo di Web3.
Con il termine Web3 ci si riferisce alla terza “incarnazione” del Web: se all’inizio c’erano soltanto link, dal 2004 si è cominciato a usare l’appellativo Web 2.0 per dare un nome alla direzione verso la quale ci si stava muovendo. La nascita di Facebook (2004), YouTube (2005), Twitter (2006) e delle altre piattaforme social ha rivoluzionato il modo con cui il Web veniva fruito.
Da allora un ristretto gruppo di aziende ha preso saldamente le redini del Web assumendo il controllo su un’enorme mole di dati personali appartenenti agli utenti iscritti ai rispettivi servizi. Detenere il controllo su queste informazioni ha permesso a poche società di accumulare immensi capitali.
L’idea di Web3 punta a creare una rete decentralizzata all’interno della quale gli utenti possano scambiarsi informazioni e denaro senza la necessità di un intermediario (quale può essere una società tecnologica o una banca). Il Web3 non è una novità ed è una parola introdotta anni fa: nell’ultimo periodo, complice anche il successo delle criptovalute e degli NFT, ci si confronta sempre più spesso sul tema a tutti i livelli.
Non vi sembra qualcosa di già familiare? Sì perché l’impostazione è quella su cui si basano le crittovalute e la blockchain.
Con IPFS (InterPlanetary File System) diventa possibile ad esempio condividere documenti e file in forma decentralizzata evitando che essi siano conservati sui singoli dispositivi e sui server dei colossi dell’IT.
Restituire il Web nelle mani degli utenti e offrire un maggiore controllo sui dati è qualcosa di certamente positivo: parlando di Web3, però, va considerato che il mondo delle criptovalute è comunque controllato da tante venture capital e soggetti che fanno direttamente capo a realtà della Silicon Valley.
Con l’idea di Web3 si potrebbe pensare di creare un Facebook decentralizzato ma ciò porrebbe sfide enormi: chi paga la banda e i server utilizzati per la gestione dei contenuti? Chi si occuperà di rimuovere i contenuti pubblicati in violazione delle regole? Chi aiuterà a reimpostare una password dimenticata? Tante altre sono le domande di questo tenore che è possibile sollevare.
Il pericolo è che alla fine il Web3 non sia altro che qualcosa di molto simile a ciò che conosciamo oggi con tanti rischi in più e il pericolo di consegnare i propri dati a soggetti che esercitano un controllo attivo sui dati è concreto.
Dal punto di vista dello sviluppo un’applicazione Web3 non è molto differente rispetto a quelle già note: per creare l’interfaccia utente si può ad esempio usare una libreria come React insieme con tutti gli altri tool preferiti. L’autenticazione avverrebbe però utilizzando lo stesso algoritmo a cifratura asimmetrica basata su una coppia di chiavi pubbliche e private usato per gestire i portafogli di criptovalute: librerie come Web3.js ed ethers.js mettono a disposizione API JavaScript di semplice utilizzo che consentono una più facile interazione con i wallet degli utenti.
La parte di backend è, nel caso di Web3, piuttosto differente rispetto alle soluzioni “vecchia scuola” che presupponevano ad esempio l’allestimento di una configurazione LAMP basata quindi anche su PHP e database MySQL/MariaDB. Le opzioni emerse fino ad oggi si chiamano Hard Hat e Truffle: in soldoni sono linguaggi di programmazione orientati agli oggetti che permettono di gestire smart contract ossia la negoziazione e l’esecuzione di un contratto. Gli smart contract poggiano a loro volta sulla blockchain permettendo la validazione e la verifica di ciascun contratto.
Un progetto chiamato OpenZeppelin permette di predisporre smart contract che soddisfano tutti i principali standard industriali.
Il sito che raccoglie tutti gli aspetti di Web3 che destano maggiore preoccupazione è Keep the web free, say no to Web3. E se pezzi da novanta come Jack Dorsey (fondatore di Twitter) ed Elon Musk bocciano senza appello Web3, tanti sono gli investitori a salire sul treno in partenza. Tra di essi ci sono nomi del calibro di Andreessen-Horowitz che, come accennato in precedenza e come sottolineato dallo stesso Dorsey, cozzano contro la natura decentralizzata del Web3.
Dal nostro punto di vista riteniamo che sia davvero impossibile giungere oggi a una conclusione definitiva: l’importante è essere sempre parte del cambiamento, senza mai subirlo passivamente e vigilare perché il Web non si trasformi in qualcosa che non vogliamo non contribuendo a migliorare significativamente il quadro attuale.