Sta destando grande interesse la sentenza emessa negli Stati Uniti dal giudice federale Gary R. Brown secondo cui un indirizzo IP, da solo, non può essere ritenuto sufficiente per identificare in modo univoco un utente accusato di prelevare illegalmente materiale soggetto a copyright dalla rete Internet.
Secondo la tesi del giudice statunitense, un indirizzo IP permette di individuare la locazione in cui si trovano un insieme di dispositivi connessi alla Rete ma non si sapere con esattezza chi ha prelevato un contenuto protetto dalle normative a tutela del diritto d’autore. Disponendo l’archiviazione del caso, Brown ha aggiunto che l’accusa non ha dimostrato, senza ombra di dubbio, chi abbia posto in essere l’attività di download illegale.
“Nella maggior parte delle situazioni un IP fa riferimento ad un router wireless o ad un altro dispositivo di rete al quale il provider Internet ha assegnato dinamicamente un indirizzo“, ha aggiunto il giudice. “Chi ha commesso la violazione, quindi, potrebbe essere il titolare dell’abbonamento, un membro della sua famiglia, un impiegato, un ospite, un vicino od un intruso“.
La decisione a stelle e strisce cozza con alcuni provvedimenti, primo tra tutti la cosiddetta “legge dei tre schiffi” (HADOPI) approvata ed attualmente in vigore in Francia, di cui si fa un gran parlare a livello europeo. La legge HADOPI prevede che il proprietario dell’abbonamento Internet a cui è riconducibile l’attività illecita originatasi da un indirizzo IP ad egli collegabile, sia punibile con una multa o con la disconnessione definitiva. Prima dell’intervento finale di un giudice, il titolare del contratto di abbonamento Internet potrà ricevere sino a tre avvisi: sarà lui ad essere eventualmente sanzionato, non ncessariamente l’autore della violazione.
Chi volesse approfondire, può trovare il testo della sentenza su Scribd, a questo indirizzo.