Per l’Agenzia delle Entrate statunitense (Internal Revenue Service, IRS), Bitcoin non è considerabile una moneta ma un bene giuridico dotato di un suo proprio valore di mercato. Quella che viene comunemente chiamata “moneta virtuale“, “moneta elettronica” o “crittovaluta” è, secondo quanto rilevato dall’IRS una “proprietà”, paragonabile all’oro o ad un qualunque altro metallo prezioso, piuttosto che una valuta.
È pur vero che Bitcoin venga di fatto utilizzato come una moneta ma non ha corso legale in nessuna parte del mondo. Così, anche quando si acquistano dei beni o dei servizi utilizzando monete virtuali Bitcoin, sempre secondo l’IRS, si starebbe effettuando una sorta di baratto.
Primo a parlarne, in Italia, è stato l’avvocato Guido Scorza, sul suo blog, segnalando anche l’elenco completo di “domande e risposte” (FAQ) stilato dall’agenzia esattoriale degli Stati Uniti.
Le osservazioni pubblicate dall’IRS aprono però, di fatto, anche alla tassazione dei Bitcoin: il prezzo d’acquisto dei Bitcoin (facilmente tracciabile) sarà utilizzato per determinare il capitan gain ossia l’utile di capitale nel momento in cui le monete virtuali saranno spese. L’agenzia statunitense, così, decide di sottoporre i Bitcoin allo stesso regime fiscale a cui sono sottoposti i titoli azionari. Chi avrà acquistato il singolo Bitcoin al valore di 10 dollari spendendolo a fronte di un controvalore, ad esempio, di 400 dollari, sarà soggetto ad una tassazione nettamente diversa rispetto a chi avrà comprato Bitcoin a 390 dollari.
Ad ogni modo, sebbene Bitcoin sia ancora considerato, da molti, come uno strumento speculativo, i suoi ideatori hanno spesso rimarcato come si tratti di un mezzo per semplificare e rendere più pratiche ed economiche le transazioni commerciali.
Per maggiori informazioni, suggeriamo la lettura del nostro articolo Come funziona Bitcoin e perché Apple non lo vuole.