I meccanismi di embedding dei contenuti, come noto, consentono di pubblicare su una pagina web – senza difficoltà alcuna – materiale che di fatto è ospitato di server gestiti da terze parti. Basti pensare ai video di YouTube: cliccando sul pulsante Condividi quindi su Codice da incorporare, chiunque ha la possibilità di inserire un contenuto multimediale caricato sul popolarissimo servizio all’interno delle proprie pagine web.
In Italia aveva sollevato un vespaio di polemiche, lo scorso ottobre, la decisione della SIAE di richiedere il versamento di un compenso ai gestori di alcuni siti che, semplicemente, avevano inserito – usando la tecnica dell’embedding – alcuni video provenienti da YouTube così come da altre fonti (ved. questa notizia).
La novità è che anche Oltreoceano la MPAA (“Motion Picture Association of America”, “Organizzazione americana dei produttori cinematografici”) ha deciso per un provvedimento similare. Intervenendo in un processo in corso negli Stati Uniti, la MPAA ha cercato di convincere i giudici che la violazione dell’altrui diritto d’autore non si verifica solamente se si ospita, sui propri server, un contenuto audiovisivo senza disporre delle necessarie autorizzazioni ma anche semplicemente facendovi riferimento con lo strumento dell’embedding.
La posizione della MPAA fu abbracciata per la prima volta da un giudice federale statunitense lo scorso luglio: immediata fu la reazione di società quali Facebook, Google e Electronic Frontier Foundation che contestarono veementemente la decisione ritenendola del tutto incoerente con le varie sentenze precedenti e pericolosissima per l’economia della rete Internet.
La maggior parte degli osservatori statunitensi sono concordi nell’affermare che se il punto di vista della MPAA dovesse essere abbracciato dalla corte, le conseguenze del “giro di vite” sull’embedding sarebbero pesantissime. Chiunque utilizzerà, ad esempio, le tag YouTube per pubblicare un video sulle proprie pagine web, sia che si tratti di un sito commerciale che amatoriale, sarà tenuto a verificare la regolarità del contenuto sia per quanto riguarda il flusso video che per ciò che concerne la colonna sonora. Si tratta di obblighi eccessivi che di fatto metterebbero i bastoni tra le ruote alla diffusione dei contenuti e decreterebbero probabilmente la fine della pratica dell’embedding.