TIM non demorde sulla questione legata alla costruzione di una rete a banda ultralarga nelle cosiddette aree “a fallimento di mercato” (cluster C e D).
Dopo il rigetto del suo ricorso dinanzi al TAR del Lazio (Banda ultralarga: TIM perde il ricorso. Bandi Infratel validi e corretti) e la “comunicazione a sorpresa” di voler investire autonomamente nelle aree ancora affette dal problema del digital divide (TIM, banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato senza investimenti pubblici), oggi arriva una “doccia fredda”. Questa volta per Infratel Italia e per Enel Open Fiber.
TIM ha infatti presentato un esposto anche in sede europea ipotizzando presunte irregolarità nella definizione dei bandi Infratel. Secondo l’ex monopolista, infatti, i bandi sarebbero configurabili come “aiuti di stato”, non permessi – ed anzi espressamente vietati – nella vigente normativa.
La Commissione Europea ha quindi deciso di avviare, innanzi tutto, una serie di colloqui con le autorità italiane per approfondire il tema.
Secondo la tesi di TIM, Infratel non avrebbe aggiornato le sue mappe e non avrebbe rimosso quelle aree in cui l’operatore ha già colmato il divario digitale. Tali zone del Paese non avrebbe più dovuto essere configurate come aree “a fallimento di mercato”.
Sempre stando alla contestazione di TIM, Enel Open Fiber otterrebbe di fatto una remunerazione di stato non dovuta potendo così fruire di un vantaggio competitivo in aree dove TIM ha già realizzato la rete in proprio.
Le aree citate da TIM sono 5.000: si tratta di zone precedentemente considerate come “bianche” e nelle quali invece, adesso, l’operatore offre già il servizio di connettività a banda larga. Infratel, insomma, avrebbe ignorato il “Piano autonomo” di TIM comunicato lo scorso 23 dicembre.
La Commissione Europea, pur confermando che l’esposto di TIM è in fase di verifica, ha voluto sottolineare che non è attualmente in corso alcuna indagine formale.