Intel è stato uno dei primi produttori in assoluto a utilizzare la tecnologia a transistor FinFET nella produzione dei suoi processori. I transistor FinFET sono comunque presenti in un vasto numero di dispositivi elettronici: ma che cos’è questa tecnologia e come viene utilizzata?
Come abbiamo ricordato nell’articolo Intel presenta le principali novità dei processori Tiger Lake, Intel ha abbracciato l’utilizzo della tecnologia FinFET a partire dal 2012, con il lancio dei processori Ivy Bridge. Ma i transistor FinFET vengono utilizzati anche negli SSD e nelle memorie RAM.
Un transistor a effetto di campo Fin, FinFET appunto, è un dispositivo elettronico tri-gate ovvero formato da tre terminali.
La base di partenza è un MOSFET (transistor metallo-ossido-semiconduttore a effetto di campo) ovvero un dispositivo formato da un substrato di silicio al quale sono appunto applicati tre terminali: gate, source e drain. Essi sono utilizzati per controllare la corrente che attraversa il dispositivo.
Il transistor FinFET si svincola dall’architettura planare del tradizionale MOSFET: il canale che mette in comunicazione source e drain viene portato al di sopra del piano del silicio formando una pinna (“fin”, in inglese).
La lunghezza del gate è un parametro di importanza fondamentale nei FinFET: più è ridotta, più si riduce la distanza tra le pinne, più preciso è il controllo della corrente e più transistor si possono ottenere per metro quadrato di wafer di silicio. Non è però possibile portare agli estremi la dimensione del gate perché ciò può avere ripercussioni negative in termini di rendimento.
La miniaturizzazione dei transistor, che Intel ha perseguito fino ad arrivare al processo costruttivo 14nm++ (pitch to shrink), è una delle sfide che i produttori di CPU e GPU stanno perseguendo da tempo: ne parlavamo nell’articolo Nanometro, unità di misura utilizzata per descrivere le CPU: ecco perché.
A questo indirizzo sono riassunti i principi costruttivi di un transistor FinFET.
La sfida è adesso quella di spingersi ancora più avanti: per poter spingere sulla miniaturizzazione dei transistor senza introdurre decadimenti prestazionali, si sta facendo strada l’evoluzione della tecnologia FinFET ovvero Nanosheet.
Fonte dell’immagine: IMEC
Nanosheet si basa sull’utilizzo di transistor che sfruttano uno schema ancora più evoluto: le pinne sono impilate verticalmente invece che orizzontalmente. Da qui il nome che fa riferimento ai fogli di un libro.
Per realizzare questi transistor di nuova generazione vengono impiegati strati alternati di silicio e SiGe (composto formato da silicio e germanio) oltre a un “distanziatore” che definisce la larghezza del gate, posizionato al di sotto del canale.
Se TSMC dichiara oggi che le dimensioni del gate non possono scendere con gli attuali FinFET sotto i 25 nm, con i transistor Nanosheet si potrà ridurla sotto i 10 nm.
Inutile dire, quindi, che la tecnologia Nanosheet fungerà da volano per la standardizzazione del processo litografico a 5 nm. L’impilamento verticale è comunque la via, come abbiamo visto nel caso delle memorie HBM2e.