Il Regno Unito sembra deciso a dare battaglia a tutte quelle multinazionali che, utilizzando un espediente – va detto, assolutamente legale – versano importi in tasse molto ridotti se paragonati ai profitti. Nell’occhio del ciclone era di recente entrato Facebook (Gli inglesi e Facebook: il social network paghi le tasse), accusato di versare solo qualche spicciolo nelle casse del fisco inglese a fronte degli incassi multimilionari fatti registrare nel Regno Unito.
Adesso è la volta di Google ed Amazon. L’accusa è identica ed è stata mossa da un comitato presieduto dai ministri del Parlamento inglese che hanno convocato i responsabili delle due società.
Matt Brittin, responsabile della divisione europea di Google, ha confermato che il “quartier generale” della società nel vecchio continente è stato allestito in Irlanda ammettendo che la scelta è stata operata in forza della tassazione agevolata che il Paese di Dublino offre alle imprese (12,5%). Sulla base della documentazione prodotta da Google, di 2,5 miliardi di sterline incassati nel Regno Unito durante l’ultimo anno fiscale, la società avrebbe pagato 3,4 milioni di sterline in tasse.
Brittin ha aggiunto che Google rispetta le regole e cerca di gestire i costi, come ogni altra azienda, nel modo più efficiente possibile nel tentativo di soddisfare al massimo le aspettative degli azionisti. Il presidente della commissione parlamentare inglese, Margaret Hodge, ha però tuonato: “non vi stiamo accusando di agire in modo illegale, mi stiamo accusando di essere immorali“.
Anche Andrew Cecil, uno dei responsabili di Amazon, ha subìto un trattamento simile dichiarandosi non in grado di fornire una dettagliata disamina sugli introiti del gruppo maturati entro i confini territoriali del Regno Unito. La Hodge ha criticato aspramente l’atteggiamento di Cecil invitando Amazon ad inviare, entro il termine ultimo di due settimane, un altro manager dinanzi al comitato in modo da rispondere puntualmente ai vari quesiti.