Sembrava quasi una barzelletta. La tassa sul rame che si voleva introdurre con la Legge di Bilancio 2025 suonava quasi come quelle truffe telefoniche che sollecitano a passare alla fibra ottica con urgenza. L’emendamento 76.07 proponeva, tra i vari punti, anche un incremento del 10% del costo di tutti i servizi di connettività forniti su rete in rame, a partire dal 1° gennaio 2025. La gabella, automaticamente applicata a tutti i provider Internet che ancora forniscono l’accesso su rete in rame, si sarebbe abbattuta sui clienti finali – privati, professionisti e aziende – costretti a dover pagare di più per una connessione molto più lenta rispetto a una FTTH (Fiber-to-the-Home).
Era tutto messo nero su bianco nel testo dell’emendamento, al comma 11. Fortunatamente, però, in seguito alle aspre critiche sollevatesi da più parti, a metà dicembre 2024 l’emendamento è stato ritirato.
Risultava davvero incomprensibile la ratio per cui si dovessero andare a penalizzare quei soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, mantengono attiva una connessione su rete in rame (xDSL/FTTx) non potendo materialmente passare alla connettività in fibra FTTH.
Obiettivo della tassa sul rame velocizzare lo switch off: ma non era la strada giusta
Il testo dell’emendamento al Disegno di Legge di Bilancio voleva contribuire a velocizzare le procedure di switch off per il passaggio dalla rete in rame a quella completamente in fibra ottica. Ma non è così che si ottiene l’effetto sperato.
L’aumento del 10% dei costi per l’erogazione della connettività su rame avrebbe finanziato un fondo per lo switch off. Tuttavia, come sottolineava AIIP (Associazione Italiana Internet Provider), la misura si sarebbe tradotta in incertezze applicative, con una nuova imposta indiretta a carico di consumatori e imprese, specie nelle aree meno servite, e con il rischio di comprimere ulteriormente i margini di operatori già in difficoltà. “Non tiene conto degli enormi aumenti di costo a danno degli operatori non-incumbent dei servizi su rete rame (es. ULL e sub-ULL)“, osservava AIIP.
L’associazione sottolineava che l’incremento del 10% sui prezzi dei servizi in rame non considera le difficoltà economiche già esistenti per gli operatori non-incumbent, cioè quelli che non sono l’operatore dominante, spesso ex-monopolista, come TIM. Questi operatori utilizzano infrastrutture in rame per offrire servizi ai loro clienti, spesso attraverso modelli regolamentati come ULL (Unbundled Local Loop) e sub-ULL.
Nel caso di ULL, gli operatori accedono direttamente al doppino in rame, ossia la connessione fisica tra la centrale telefonica e l’utente finale, pagando un canone al gestore della rete. Con lo schema Sub-ULL, l’approccio è sostanzialmente identico, seppur limitato al segmento di rete più vicino all’utente finale.
Soddisfazione dopo il ritiro dell’emendamento
A valle del ritiro dell’emendamento 76.07 alla Legge di Bilancio, da parte del proponente, AIIP si dice soddisfatta per la decisione. Proseguire con la proposta avrebbe portato a un distorsione del mercato e compromesso le pianificazioni industriali del settore.
Un tale esito, che non avrebbe garantito alcun effettivo beneficio alla diffusione della banda ultralarga, è tramontato grazie alla mobilitazione dell’Associazione, dei consumatori, e al tempestivo intervento di Governo e membri delle Camere. “Siamo lieti che gli attori istituzionali, compreso l’onorevole proponente, abbiano condiviso l’importanza di tutelare i consumatori e di non scaricare ulteriori costi sulle connessioni Internet”, dichiara il presidente AIIP Giovanni Zorzoni. “Sarebbe stato imperdonabile gravare proprio sui cittadini ancora collegati (…) in rame”.
Le critiche rispetto al presunto sostegno statale nei confronti di FiberCop e Open Fiber
AIIP ha comunque espresso forti riserve su alcune disposizioni contenute nell’articolo 76 della Legge di Bilancio. L’associazione denuncia un intervento statale a favore di specifiche imprese, chiamando in causa FiberCop e Open Fiber, vincitrici rispettivamente dei Bandi “Italia a 1 Giga” e dei Bandi BUL (Banda Ultra Larga).
Lo Stato avrebbe deciso di stanziare 610 milioni di euro provenienti dalle tasse dei cittadini italiani per ristorare presunti “extra-costi” sostenuti dal concessionario dei Bandi BUL. L’associazione sottolinea che tali bandi erano stati aggiudicati su tutti i lotti a seguito di ribassi estremamente significativi, scelti liberamente e a proprio rischio da Open Fiber. L’ulteriore esborso di fondi pubblici previsto nella Legge di Bilancio sembrerebbe, secondo AIIP, finalizzato a riequilibrare piani economico-finanziari che si sono rivelati insostenibili.
AIIP prosegue evidenziando che un meccanismo simile pare ispirare anche le disposizioni a favore di entrambi i concessionari dei bandi “Italia a 1 Giga”. Queste previsioni consentirebbero di ridurre unilateralmente gli obiettivi inizialmente fissati, prevedendo pagamenti anticipati al completamento dell’80% dei civici “abilitati”, anziché “collaudati”. AIIP avverte che questa misura rischia di incentivare ulteriori ritardi e non conformità, allontanando l’effettiva realizzazione delle infrastrutture promesse.
Secondo l’associazione, la scelta dello Stato di intervenire ex post per modificare i contenuti dei bandi pubblici rappresenterebbe un grave errore. AIIP parla esplicitamente di uno schema che porta alla “privatizzazione dei guadagni e alla socializzazione delle perdite”, un meccanismo considerato distorsivo del mercato.
Meglio aiutare cittadini e imprese con i voucher connettività
Sempre stando alla posizione di AIIP, da un lato ingenti risorse pubbliche continuano a sostenere colossi del settore, mentre le misure di effettivo beneficio per i cittadini e le imprese, come i Voucher Connettività, restano ferme.
L’associazione sostiene che nella precedente fase 2 del programma Imprese, i voucher si sono dimostrati estremamente efficaci nel promuovere non solo la domanda di connettività, ma anche lo sviluppo di nuove reti ottiche in aree precedentemente prive di adeguati servizi.