Sembra quasi una barzelletta. La tassa sul rame che si vorrebbe introdurre con la Legge di Bilancio 2025 suona quasi come quelle truffe telefoniche che sollecitano a passare alla fibra ottica con urgenza. Eppure è tutto vero. L’emendamento 76.07 propone, tra i vari punti, anche un incremento del 10% del costo di tutti i servizi di connettività forniti su rete in rame, a partire dal 1° gennaio 2025. La gabella, automaticamente applicata a tutti i provider Internet che ancora forniscono l’accesso su rete in rame, ovviamente si rifletterà sui clienti finali – privati, professionisti e aziende – che si ritroveranno a dover pagare di più per una connessione molto più lenta rispetto a una FTTH (Fiber-to-the-Home).
È tutto messo nero su bianco nel testo dell’emendamento, al comma 11.
Risulta davvero incomprensibile che si vadano a penalizzare quei soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, mantengono attiva una connessione su rete in rame (xDSL/FTTx) non potendo materialmente passare alla connettività in fibra FTTH, perché non ancora coperti.
L’obiettivo della tassa sul rame è velocizzare lo switch off: ma non è la strada giusta
Il testo dell’emendamento al Disegno di Legge di Bilancio vorrebbe contribuire a velocizzare le procedure di switch off per il passaggio dalla rete in rame a quella completamente in fibra ottica. Ma non è così che si ottiene l’effetto sperato.
L’aumento del 10% dei costi per l’erogazione della connettività su rame è destinato a finanziare un fondo per lo switch off. Tuttavia, come sottolinea AIIP (Associazione Italiana Internet Provider), la misura creerebbe incertezze applicative, traducendosi in una nuova imposta indiretta a carico di consumatori e imprese, specie nelle aree meno servite, con il rischio di comprimere ulteriormente i margini di operatori già in difficoltà. “Non tiene conto degli enormi aumenti di costo a danno degli operatori non-incumbent dei servizi su rete rame (es. ULL e sub-ULL)“.
AIIP sottolinea insomma che l’incremento del 10% sui prezzi dei servizi in rame non considera le difficoltà economiche già esistenti per gli operatori non-incumbent, cioè quelli che non sono l’operatore dominante, spesso ex-monopolista, come TIM. Questi operatori utilizzano infrastrutture in rame per offrire servizi ai loro clienti, spesso attraverso modelli regolamentati come ULL (Unbundled Local Loop) e sub-ULL.
Nel caso di ULL, gli operatori accedono direttamente al doppino in rame, ossia la connessione fisica tra la centrale telefonica e l’utente finale, pagando un canone al gestore della rete. Con lo schema Sub-ULL, l’approccio è sostanzialmente identico, seppur limitato al segmento di rete più vicino all’utente finale.
Switch off a tappe forzate, imposto per legge
L’emendamento in questione prevede inoltre uno switch off a tappe forzate con il passaggio delle utenze dalla rete in rame a quella in fibra entro termini predeterminati.
Per carità, è indispensabile spingere l’acceleratore sull’estensione della copertura in banda ultralarga, ma risulta quanto meno incauto pensare di poter usare la clava delle prescrizioni normative per risolvere la situazione. AIIP osserva che manca una reale analisi di fattibilità e si ignora la cronica carenza di manodopera specializzata che frena già da anni la realizzazione delle infrastrutture.
Anche le reti FTTH già costruite spesso non sono sfruttate appieno o non raggiungono un numero sufficiente di utenti finali. Ci sono ritardi oggettivi nella connessione dei clienti, difficoltà tecniche o mancanza di operatori capaci di gestire la domanda. AIIP porta come esempio la stessa rete BUL (Banda Ultra Larga), un’infrastruttura nazionale sviluppata per portare la connessione FTTH nelle aree meno servite, spesso in ritardo rispetto agli obiettivi iniziali. L’associazione cita la rete BUL come un esempio concreto della difficoltà nel completare e attivare progetti infrastrutturali complessi.