La recente denuncia pervenuta dall’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) aveva preso di mira le grandi multinazionali attive nel campo dell’IT che utilizzano stratagemmi (seppur ad oggi assolutamente legali) per versare meno tasse. Aziende del calibro di Apple, Google, Facebook, Amazon (l’elenco potrebbe essere però molto più lungo), fissano le rispettive sedi amministrative e fiscali negli stati ove la tassazione è più conveniente. In ambito europeo, particolarmente gettonata è l’Irlanda che, grazie al regime fiscale particolarmente conveniente, è divenuta punto di riferimento per molti “over the top” (così vengono battezzate le società che “dominano” in specifici settori come quello dei motori di ricerca, dei social network, dell’e-commerce e così via).
Nell’articolo L’OCSE contro le società IT che pagano poche tasse abbiamo anche citato le principali prese di posizione, sul tema, che si sono registrate nei vari Paesi, Italia compresa.
Secondo l’OCSE sarebbe necessario sviluppare un piano comune d’intervento che permetta di “allineare il luogo in cui viene maturato l’introito con l’attività economica che ha generato tale incasso”.
La novità è che in Parlamento sono stati presentati due emendamenti che hanno come obiettivo proprio quello di intensificare la tassazione su quelle aziende che decidono di porre le proprie sedi fiscali all’estero ma che sono attivamente presenti sul mercato italiano. Nel documento presentato da Ernesto Carbone (PD), si legge: “chiunque venda campagne pubblicitarie online erogate sul territorio italiano, deve avere una Partita IVA italiana“. E non conterebbe più neppure se un’azienda si appoggi, per la vendita dei suoi prodotti pubblicitari, a società partner o a centri media tricolore.
Un provvedimento che è stato subito bollato come “anti-Google” ma che, se venisse approvato, interesserebbe immediatamente anche realtà come Facebook.
Il testo del secondo emendamento auspica invece l’introduzione di “sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale“. Tradotto, le società “over the top” dovrebbero avere l’obbligo di versare nelle casse del fisco italiano imposte calcolate sulla base dei profitti realmente generati da attività espletate sul territorio italiano.
I due emendamenti non mancheranno certo di sollevare un polverone, con un conseguente strascico di commenti e polemiche.