Google vuole andare fino in fondo e negli Stati Uniti decide di portare la vertenza che concerne l’utilizzo delle autovetture del servizio Street View per la raccolta di frammenti di dati in transito sulle reti Wi-Fi fino alla Corte Suprema.
La raccolta delle immagini panoramiche a 360 gradi che compongono l’immenso archivio del servizio Street View viene effettuata dai tecnici di Google prevalentemente utilizzando autovetture dotate di una speciale attrezzatura fotografica montata sul tettuccio.
Il software installato sulle Google-cars non viene utilizzato solamente per acquisire e memorizzare le foto “panoramiche” ma viene impiegato anche per tracciare la posizione (annotazione delle coordinate GPS) degli “hotspot” e dei router wireless individuati nei dintorni (vengono annotati SSID pubblicamente visibili ed indirizzi MAC; vedere, ad esempio, l’articolo Dammi il tuo MAC address e ti dirò dove ti trovi). L’obiettivo è quello di creare un vasto database, su scala planetaria, che viene riutilizzato ad esempio dai device Android per stabilire in modo approssimativo la posizione geografica dell’utente senza attivare il modulo GPS.
Per un certo periodo di tempo (fra il 2010 ed il 2012), inoltre, lo stesso software provvedeva ad effettare, senza sosta, una sorta di attività di “sniffing” rilevando e salvando le informazioni trasmesse dai vari router Wi-Fi nelle vicinanze. Se non è da considerarsi censurabile la registrazione delle informazioni relative alla posizione di una rete wireless, è proprio l’“intercettazione” dei pacchetti dati in transito sulle Wi-Fi aperte ad aver fatto saltare sulla sedia i responsabili degli uffici privacy di mezzo mondo.
Google ha più volte dichiarato di aver effettuato la raccolta di dati “per errore” e che le informazioni non sono mai state utilizzate per nessun fine. Dopo aver ottenuto un parere sfavorevole da parte dei giudici statunitensi, la società fondata da Larry Page e Sergey Brin prova a rivolgersi alla Corte Suprema.
Secondo l’azienda, infatti, non si può parlare di intercettazioni perché la raccolta dei dati si è limitata alle sole Wi-Fi lasciate aperte. La tesi di Google è che le comunicazioni instaurate con hot spot e router Wi-Fi sprovvisti di alcun genere di protezione siano paragonabili alle trasmissioni radio “in chiaro”. Chiunque può rilevarne la presenza.
In attesa della decisione della Corte Suprema USA, in Europa è la Germania – esattamente un anno fa – ad aver multato Google sul medesimo tema. La società statunitense se l’è comunque cavata con un’ammenda di 145.000 euro. Briciole per il colosso a stelle e strisce.
Il Garante Privacy italiano multa Google per 1 milione di euro
È invece proprio di oggi la notizia della sanzione commitata dall’ufficio del Garante Privacy italiano a Google. L’azienda dovrà versare 1 milione di euro di ammenda per non aver rispettato, nel 2010, le indicazioni emanate dallo stesso Garante (ecco il nostro articolo risalente a qualche anno fa: Street View: le vetture di Google devono “annunciarsi”).
Il Garante aveva prescritto a Google di “rendere le “Google cars” facilmente individuabili, attraverso cartelli o adesivi ben visibili, di pubblicare sul proprio sito web, tre giorni prima dell’inizio delle riprese, le località visitate dalle vetture di Street View, stabilendo che per le grandi città è necessario indicare i quartieri in cui circolano le vetture“.
“I fatti contestati risalgono al 2010 quando le auto del colosso di Mountain View percorrevano le strade italiane senza essere perfettamente riconoscibili e non consentendo, in tal modo, alle persone presenti nei luoghi percorsi dalle “Google Cars” di decidere se sottrarsi o meno alla “cattura” delle immagini“, si legge nella nota dell’autorità garante che spiega di aver ricevuto numerose segnalazioni da parte dei cittadini.
La sanzione da 1 milione di euro sarebbe già stata pagata da Google nelle settimane scorse.