I crawler del motore di ricerca Google sono costantemente al lavoro per individuare e indicizzare i contenuti pubblicati sul Web.
Può accadere che alcune informazioni personali compaiano tra i risultati di specifiche ricerche costituendo una potenziale minaccia per il soggetto cui i dati si riferiscono.
Conosciamo già le norme sul diritto all’oblio: esse permettono agli aventi titolo di richiedere la rimozione di contenuti dal motore di ricerca di Google anche se il sito che li pubblica continua a ospitarli sulle sue pagine.
Sentenze passate ormai in giudicato, fatti di cronaca, eventi che riguardano un cittadino possono spesso rappresentare un “marchio a vita” per quella persona: il diritto all’oblio consente di evitare che nelle SERP di Google continuino a comparire informazioni che riguardano un soggetto.
C’è poi il pericolo doxxing ovvero gli attacchi che mirano a diffondere online informazioni personali e dati sensibili di altre persone.
Compilando il modulo per la richiesta di rimozione dei contenuti dal motore di ricerca Google da oggi è possibile de-indicizzare pagine che contengono indizzi fisici, numero di telefono e indirizzi email, credenziali di accesso e copie di documenti di riconoscimento.
La decisione deriva dal fatto che un volume sempre più imponente di informazioni personali viene pubblicato online senza l’autorizzazione dei diretti interessati e quindi in spregio di tutte le norme vigenti. Ne parliamo in breve nell’articolo sulle pagine bianche dei numeri di cellulare italiani non autorizzate e contenenti numeri di telefono di utenze mai condivise pubblicamente.
La rimozione delle informazioni personali dai risultati del motore di ricerca Google, tuttavia, non cancellerà dal Web quegli stessi dati. Semplicemente le informazioni non saranno più “ricercabili”. Gli interessati devono quindi farsi parte attiva ed esigere la rimozione dei propri riferimenti personali rivolgendosi ai titolari dei siti Web che li pubblicano.