Il Parlamento dà il via libero a un emendamento al decreto fiscale che ha come fine ultimo quello di favorire la nascita di una rete pubblica unica e nazionale unendo quelle di TIM e Open Fiber.
Ancora nulla è stabilito in via definitiva ma l’utilizzo dell’aggettivo “pubblica” potrebbe lasciare intendere il varo di una società sotto la guida di Cassa Depositi e Prestiti che attualmente è azionista di TIM per circa il 5% mentre compartecipa equamente Open Fiber al 50% con Enel.
Come si legge nel testo oggetto di approvazione, spetterà ad AGCOM individuare “adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito” nell’eventualità in cui TIM e Open Fiber dovessero avallare l’ipotesi di una unione tra le reti a formare un soggetto terzo, di proprietà diversa o comunque sotto il controllo di terzi.
Nel testo dell’emendamento si fa presente che si dovrà necessariamente tenere conto della “forza lavoro dei soggetti giuridici coinvolti“: non dovranno esserci insomma penalizzazioni a danno dei lavoratori nell’organico di entrambe le imprese e le risorse verrebbero utilizzate in maniera più efficiente rispetto alla situazione attuale.
C’è da dire con un’operazione come quella che potrebbe essere posta sul tavolo con l’applicazione del cosiddetto Regulated asset base (come avviene per Terna), potrebbe introdurre “oneri di trasporto” in capo agli utenti finali abbonati ai servizi a banda ultralarga, un po’ come avviene da tempo nelle bollette per i consumi di energia elettrica.
Il meccanismo, spiegato in breve a questo indirizzo, è chiaro ed entra in gioco quando lo Stato opera in regime di monopolio anziché di libero mercato concorrenziale.
D’altra parte la designazione di un unico player sotto il controllo statale che controlli, aggiorni ed estenda la rete potrebbe avere ricadute interessanti sul piano della lotta al digital divide, al nomadismo digitale e al miglioramento delle soluzioni tecnologiche per la connettività (e in ultima analisi all’ampliamento della banda di rete disponibile in downstream e in upstream) offerte ai clienti finali.
In casa TIM, Vivendi – primo azionista dell’azienda – torna alla carica osteggiando strenuamente l’ipotesi di una separazione della rete.