Venerdì scorso il disegno di legge sulla concorrenza è stato approvato in Consiglio dei Ministri. Il provvedimento avrebbe dovuto contenere un taglio deciso dei costi a carico degli utenti in caso di recesso anticipato del contratto stipulato con gli operatori di telecomunicazioni, con i provider Internet e le pay-tv.
In realtà è parso più una parziale revisione del decreto Bersani (poi convertito in legge 7/2007) priva di sostanziali novità.
Nei giorni scorsi avevamo fatto riferimento ad alcune ipotesi normative che avrebbero dovuto condurre ad una drastica riduzione delle spese per gli abbonati: Recesso del contratto: taglio deciso a costi e penali?.
Come confermato in una nota dallo stesso Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), invece, nell’attuale versione del disegno di legge “ciò che era vietato fino a oggi continuerà a esserlo anche dopo l’entrata in vigore della nuova legge sulla concorrenza“.
Le nuove disposizioni, infatti, non alterano la normativa in materia di recesso anticipato dai contratti di telefonia, fornitura di servizi Internet e TV (D.L. 7/2007, Bersani) ma intervengono esclusivamente sui costi di uscita che l’utente deve eventualmente sostenere nel caso in cui abbia stipulato un contratto regolato da un’offerta promozionale.
Come chiarito dal ministro Federica Guidi, il disegno di legge appena approvato fissa ad un massimo di 24 mesi la durata del periodo promozionale (e quindi del contratto) ed impone agli operatori di rispettare una serie di regole in materia di trasparenza fornendo al consumatore chiare informazioni sui costi da sostenere in caso di recesso anticipato.
Gli stessi operatori dovranno poi giustificare al Garante delle comunicazioni, sulla base dei costi effettivamente sostenuti, l’applicazione di addebiti di uscita a carico dell’utente, in caso di recesso contrattuale anticipato.
Da ultimo, conclude il Ministero, “la norma impone che i costi d’uscita siano proporzionali al valore del contratto e alla durata residua della promozione“. Ed è proprio su questo punto che si concentrano in particolare le critiche.
Le associazioni dei consumatori confermano le loro preoccupazioni
Le associazioni dei consumatori confermano invece i loro timori e chiedono al governo di intervenire sul disegno di legge per evitare la definitiva approvazione di versioni “pasticciate” di una normativa che, allo stato attuale, non fornirebbe sufficienti garanzie di tutela.
Altroconsumo, ad esempio, fa notare come, paradossalmente, la nuova normativa rischi di resuscitare quelle penali che nel settore delle telecomunicazioni erano state abolite con il decreto Bersani.
“Nella parte ora aggiunta al comma 3 si dice esplicitamente che le spese e ogni altro onere comunque denominato relativi al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore sono commisurati al valore del contratto al momento della sottoscrizione quando, invece, secondo la legge vigente, gli unici costi che l’operatore può recuperare sono quelli giustificati da costi dell’operatore medesimo ovvero costi tecnici vivi per operare lo switching e/o il recesso – sui quali peraltro pendono ancora ricorsi di Altroconsumo presso AGCOM e AGCM, considerato che tali costi a nostro avviso rimangono troppo elevati“, si osserva dall’associazione.
Vi sarebbe quindi un problema semantico che potrebbe ritorcersi a danno dei consumatori. Gli operatori, infatti, potrebbero avere titolo per recuperare non soltanto le spese vive (quindi riferibili ad aspetti tecnici e non al valore del contratto) ma anche il mancato guadagno in forza dell’uscita prematura di un cliente rispetto alla naturale data di scadenza del contratto sottoscritto.