All’inizio di marzo Raspberry ha pubblicato una guida passo-passo per effettuare il boot del sistema operativo da un’unità SSD PCIe collegata al Compute Module 4 (CM4), presentato a ottobre 2020 (è stata pubblicata a questo indirizzo).
CM4 è un modulo ancora più compatto rispetto alla scheda Raspberry Pi: si tratta sostanzialmente di un dispositivo che può essere paragonato a una Raspberry Pi 4 sprovvista di tutte le porte.
Il dispositivo può utilizzare una memoria eMMC integrata, molto più veloce rispetto a qualunque scheda microSD normalmente utilizzabile con una Raspberry Pi, e soprattutto supporta l’interfaccia PCIe consentendo appunto la connessione di un’unità SSD.
Jeff Geerling ha provato in questi giorni ad avviare Raspberry Pi OS da un’unità a stato solido WD_black SN750 da 500GB.
Per raggiungere l’obiettivo ha utilizzato un CM4 installato sopra una scheda MirkoPC che tra le altre caratteristiche integra anche uno slot M.2 M-key full size.
Geerling spiega che la procedura per arrivare a utilizzare un SSD PCIe NVMe con Raspberry CM4 è ancora un po’ intricata ma tutt’altro che impossibile.
Dapprima il sistema operativo è stato installato sulla memoria eMMC del CM4 per poi essere trasferito sull’unità SSD con la conseguente modifica della sequenza di boot.
Avviando una serie di benchmark Geerling si è accorto che il boot del sistema da scheda SD, da eMMC e da SSD PCIe NVMe richiedeva in media più o meno lo stesso tempo.
Le differenze più marcate riguardano invece il normale utilizzo del sistema, soprattutto durante le operazioni di lettura e scrittura più pesanti.
Lavorando con Chromium e con una serie di applicazioni web caricate da browser, la configurazione con SSD PCIe NVMe si è dimostrata il 44% più veloce rispetto all’utilizzo di una scheda SD e circa il 20% più performante rispetto all’uso della memoria eMMC del modulo CM4. I vantaggi derivano dal fatto che un SSD come il Western Digital utilizzato per la prova ha una durabilità stimata di molto superiore a qualunque scheda microSD in commercio.
Utilizzando la stessa identica configurazione Geerling ha voluto verificare anche l’overhead che viene introdotto collegando l’unità SSD NVMe attraverso la porta USB 3.0 anziché usando il connettore nativo. La seconda soluzione porta a un miglioramento delle performance quantificabile in un 10% rispetto alla prima.