Centinaia di migliaia di titolari di partita IVA sono i destinatari di una comunicazione inviata dalla RAI che sta facendo scalpore. La “TV pubblica” sta infatti richiedendo il versamento del cosiddetto “canone speciale”, ovvero della quota di importo più salato che sono tenuti a corrispondere “coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto“.
Nella comunicazione spedita dalla RAI non c’è alcun riferimento alla definizione di “canone speciale” (così come riportata, tra l’altro, sul sito ufficiale dell’azienda di viale Mazzini; vedere questa pagina). Si riporta solamente che “le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un canone speciale a chiunque detenga, fuori dall’ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili – quindi muniti di sintonizzatore – alla ricezione delle trasmissioni televisive, indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti“.
In allegato alla missiva, un bollettino precompilato per il versamento di un importo pari a 407,35 euro. “Per agevolarvi nel pagamento, alleghiamo un bollettino di conto corrente postale già compilato, il cui importo è deducibile dal reddito di impresa“, si legge.
L’impressione di molti è che la RAI stia cercando di far cassa “sparando nel mucchio” e provando a richiedere il versamento di canoni di abbonamento che, nella stragrande maggioranza dei casi, molto probabilmente non sono dovuti. La TV pubblica, come già successo nel recente passato, torna così alla carica cercando di indurre ad attivare abbonamenti speciali da parte di quei titolari d’impresa che, verosimilmente, non hanno tempo e modo di verificare che stiano realmente le cose.
Con una nota del 22 febbraio 2012 è stato proprio il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) a stabilire, con chiarezza, i soggetti tenuti al versamento del canone speciale RAI: “debbono ritenersi assoggettabili a canone tutte le apparecchiature munite di sintonizzatore per la ricezione del segnale (terrestre o satellitare) di radiodiffusione dall’antenna radiotelevisiva. Ne consegue ad esempio che di per sé i personal computer, anche collegati in rete, se consentono l’ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi via Internet e non attraverso la ricezione del segnale terrestre o satellitare, non sono assoggettabili a canone. Per contro, un apparecchio originariamente munito di sintonizzatore – come tipicamente un televisore – rimane soggetto a canone anche se successivamente privato del sintonizzatore stesso (ad esempio perché lo si intende utilizzare solo per la visione di DVD)“.
Un personal computer, se non dotato di scheda TV tuner, non può essere considerabile come un’apparecchiatura atta a ricevere il segnale televisivo.
Sembra che, al momento, le lettere siano state inviate ai titolari di imprese iscritte alla Camere di Commercio di tutta Italia per un totale di circa 3,8 milioni di comunicazioni (dati 2011). Attività manifatturiere, di noleggio, artigianali, informatiche, alimentari, aziende di servizi, agenti di commercio sarebbero le imprese prime destinatarie delle richieste di pagamento.
Dal canto suo, la RAI ha precisato in una nota che “la materia del canone speciale è regolata da tassative norme tributarie alle quali la Rai, nell’adempimento del suo compito di riscossione, non può in alcun modo derogare. Nel 2012 il Mise, a seguito delle istanze anche di Confartigianato, ha fornito un’interpretazione della normativa sul canone – chiarendo che sono assoggettabili a tassazione gli apparecchi dotati almeno di sintonizzatore e dando certezza interpretativa soprattutto alle utenze speciali. Tale documento, che contiene anche un’elencazione esemplificativa, viene richiamato nella lettera Rai ed è facilmente reperibile sul sito della Direzione Canone. Le lettere cui fa riferimento Confartigianato (la più rappresentativa organizzazione italiana dell’artigianato e della micro e piccola impresa aveva paventato una vera e propria “rivolta” da parte delle imprese, n.d.r.) sono comunicazioni informative prive di connotati precettivi o intimativi, nelle quali si descrive con chiarezza il presupposto dell’obbligazione di pagamento. In nessun passaggio della lettera Rai“, si legge nella risposta di viale Mazzini, “si dà per presupposta la detenzione di apparecchi tv, anzi si invita esplicitamente il destinatario ad effettuare il versamento soltanto qualora ricorra tale presupposto. Inoltre in allegato alla lettera è presente una cartolina questionario preaffrancata con la quale è possibile inoltrare alla Direzione Canone qualsiasi comunicazione senza alcun aggravio“.
E quando la sede legale dell’impresa corrisponde con il domicilio del titolare? In questo caso dalla RAI si era osservato che “in linea teorica si potrebbe configurare sia l’obbligo di pagare il canone ordinario sia quello speciale“, un’ipotesi che ai legali interpellati sul tema sembra piuttosto peregrina. Se i televisori o comunque gli apparecchi utilizzati per la ricezione del segnale TV non sono adoperati nell’ambiente lavorativo, l’eventuale richiesta può essere ignorata se pervenuta per posta ordinaria.
Qualora arrivasse un accertamento mediante raccomandata, si dovrà rispondere sempre per raccomandata con ricevuta di ritorno facendo riferimento alla nota del MISE e spiegando che nell’ambito dell’attività lavorativa non vengono adoperati apparecchi dotati di sintonizzatore TV.