Processori ibridi o multicore eterogenei: cosa sono e come funzionano

Intel e AMD guardano ai processori ibridi: una visione d'insieme sul paradigma multicore eterogeneo.
Processori ibridi o multicore eterogenei: cosa sono e come funzionano

Negli ultimi tempi si parla sempre più di processori ibridi che nel prossimo futuro sono destinati a diffondersi nel mondo dei PC con l’obiettivo di migliorarne l’efficienza.
Il paradigma multicore eterogeneo si ispira a quanto fatto da ARM nel mondo dei SoC per i dispositivi mobili con l’architettura big.LITTLE prima e DynamIQ poi.

Nei processori ibridi o multicore eterogenei non tutti i core sono uguali come invece accade nei processori sin qui utilizzati in tutti i nostri PC: sono invece formati da diversi gruppi di core che possono essere completamente diversi in termini di dimensioni fisiche (quindi per numero di transistor), velocità operativa e moltiplicatore, ma anche in tema di bilanciamento del carico.

Sul versante ARM possiamo ad esempio avere SoC composti da un cluster di quattro core Cortex-53 ULP a bassissimo consumo, un altro cluster di quattro core Cortex-A53 più potenti ma molto efficienti e infine un terzo cluster con due core Cortex-A72 ad alte prestazioni.

Lo schema ibrido è stato ripreso da Intel con i suoi processori Lakefield anche se la vera sterzata verso questo nuovo paradigma si registrerà con il lancio degli Alder Lake.
Anche AMD guarda ai processori ibridi con i primi modelli che, probabilmente, arriveranno con la serie Ryzen 8000.

Immaginate per esempio un processore Intel Core di oggi che ha “n” core fisici: nelle attuali configurazioni tutti i core sono uguali e lavorano in sincronia suddividendosi i compiti.
In un processore ibrido o multicore eterogeneo invece, come accennato in precedenza, vengono utilizzati due (o più) cluster di core che sono diversi l’uno dall’altro (in termini fisici, di velocità di clock, moltiplicatore e tensioni in gioco). Essi possono anche comportarsi come fossero processori distinti.

Nelle architetture big.LITTLE e DynamIQ di ARM tutti i core condividono la stessa ISA (Instruction Set Architecture): essi eseguono lo stesso set di istruzioni.
Quando il sistema è inattivo il processore può disabilitare i core più potenti per risparmiare energia e quindi ridurre il consumo energetico e la temperatura migliorando notevolmente l’efficienza.
Quando è richiesta più potenza computazionale la CPU attiva il cluster che raccoglie i core più performanti fino ad arrivare ai core ad alte prestazioni, ove necessario.

Anche in un odierno processore basato su core omogenei questi possono essere disabilitati al bisogno; il “segreto” dei processori eterogenei consiste nell’utilizzo di core a basso consumo, sufficienti per eseguire compiti di base che non richiedono molta potenza.
Nel caso dei processori ibridi, inoltre, non tutti i core devono condividere lo stesso ISA: si possono quindi integrare ad esempio core specifici per l’intelligenza artificiale che entrano in funzione solo quando è necessario eseguire compiti specifici, restando disabilitati per tutto il resto del tempo.
Un approccio del genere permette in linea teorica di realizzare processori con un enorme numero di core come nelle schede grafiche: ogni “categoria” di core sarebbe responsabile delle operazioni specifiche per le quali è stata progettata migliorando ulteriormente l’efficienza.

I processori ibridi non sono comunque esenti da problemi. Il primo ha a che fare con l’overclocking: se ogni cluster di core lavora a una velocità di clock diversa e con un moltiplicatore a sé non saremo in grado di overcloccare l’intero processore come tale ma solo un gruppo specifico di core anche se è Intel e AMD non hanno ancora rivelato alcun dettaglio tecnico.

Il secondo problema delle architetture eterogenee è il supporto software: il sistema operativo deve essere in grado di riconoscere correttamente queste configurazioni e assegnare i carichi di lavoro ai core corretti.
Nel caso di un kernel Linux ci sono moduli che si occupano di gestire le frequenze di clock del processore o di abilitare e disabilitare i core; il fatto è che questi moduli ancora lavorano in modo indipendente riducendo l’efficienza in alcuni casi o le prestazioni in altri.

Con Windows 11 il sistema operativo Microsoft dovrebbe supportare appieno le caratteristiche dei processori ibridi consentendo di ottimizzare i carichi di lavoro tra i vari cluster presenti.
Messo alla prova su un sistema basato su Intel Lakefield, Windows 11 ha già fatto segnare i primi incoraggianti risultati (fino al 10% di prestazioni in più rispetto alla generazione di Windows precedente).

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