Premettiamo che il lavoro di ricerca è stato finanziato dal DARPA, l’agenzia statunitense che si occupa di progetti per la difesa, lo stesso ente che fu responsabile dello sviluppo e dell’implementazione di tecnologie importanti quali ARPANET, rete che costituì l’embrione per la nascita di Internet.
L’interesse per lo sviluppo di tecnologie innovative per la memorizzazione dei dati è vivissimo: Microsoft ha annunciato di aver automatizzato i processi di lettura e scrittura dei dati all’interno di filamenti di DNA artificiali (vedere Microsoft automatizza il processo di scrittura dei dati nel DNA).
Adesso, grazie ai finanziamenti DARPA, un gruppo di ricercatori della Brown University, (Rhode Island, USA) affermano di essere riusciti a memorizzare delle immagini in alcuni prodotti chimici prodotti dagli organismi viventi chiamati metaboliti.
Gli esperti, capeggiati da Jacob Rosenstein, spiegano che il loro approccio è alternativo rispetto all’utilizzo del DNA e poggia sull’utilizzo di un mix di molecole contenenti, tra gli altri, zuccheri e aminoacidi.
Regolando la presenza di alcuni metaboliti, il team di Rosenstein ha potuto simulare la memorizzazione di informazioni binarie quindi procedere con la lettura dei dati e la successiva ricostruzione delle immagini originali.
Utilizzando uno spettrometro di massa, gli accademici statunitensi sono stati in grado di recuperare ogni singola immagine con un’accuratezza intorno al 99%. Come supporto per la memorizzazione dei dati sono stati usati dei fogli di materiale di dimensione standard, pari a circa quelle di una mano.
I metaboliti sono molecole di dimensioni molto più piccole rispetto al DNA e alle proteine e in natura ve ne sono di tantissime specie. Secondo i ricercatori, ciò significa che la soluzione appena presentata consentirebbe la memorizzazione di molti più dati a parità di area rispetto a un filamento di DNA.
“I metaboliti non richiedono energia una volta che le informazioni vengono scritte e a seconda delle condizioni ambientali, i dati possono restare conservati per mesi o anni“, ha aggiunto Rosenstein. Il ricercatore sottolinea che le molecole in questione sono molto più stabili rispetto alle memorie usate oggi nel settore dell’elettronica e dell’informatica: possono quindi sostenere e tollerare temperature estreme, valori di pressione importanti e sollecitazioni meccaniche incisive senza che venga causata perdita di informazione.
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