L’avvento dell’intelligenza artificiale ha scombinato le carte in tavola ormai qualche tempo fa. Ad oggi ci sono evidenze che affermano con una certa sicurezza che nessun mezzo può essere utile per distinguere la scrittura dell’AI da quella dell’uomo. A quanto pare lo stesso vale anche per le composizioni artistiche come le poesie.
In questi giorni sta tenendo banco un nuovo studio: secondo quanto dimostrato dall’Università di Pittsburgh, riconoscere una poesia scritta da un’intelligenza artificiale è tutt’altro che semplice. Un esperimento condotto su un campione di più di 1.600 persone, ha visto poesie create da autori classici come William Shakespeare, mescolate con testi generati da ChatGPT. Stando a quanto emerge, la maggior parte dei partecipanti non è riuscita a capire se i versi fossero opera di un essere umano o di una macchina.
Perché le poesie AI piacciono così tanto
Le poesie generate dall’AI sono state giudicate più semplici e immediate rispetto a quelle dei grandi poeti. Proprio questa facilità di comprensione ha spesso portato i lettori a preferirle, pensando che fossero scritte da un autore umano.
In un secondo esperimento, i ricercatori hanno provato a capire se sapere che i testi erano creati da un’AI influenzasse i giudizi. Ebbene sì: quando i partecipanti erano consapevoli dell’origine artificiale dei versi, tendevano a valutarli meno positivamente. Questo dimostra quanto si è legati al concetto di autenticità nell’arte.
Lo studio apre un dibattito interessante: quanto conta davvero l’autore di un’opera? Se un’AI può creare poesie tanto convincenti da confonderci, è necessario ripensare a cosa significhi essere creativi. Le intelligenze artificiali, infatti, non “sentono” emozioni né creano da zero, ma rielaborano dati esistenti.
Nonostante questo, potrebbero diventare alleate dell’arte umana, strumenti per ampliare le possibilità creative invece di sostituirle. L’importante, forse, non è sapere chi ha scritto una poesia, ma il modo in cui riesce a emozionare.