Una sentenza che non può non far scalpore quella emessa dal Tribunale di Roma, V sezione, in merito ad una vertenza che vedeva come imputato un imprenditore, trovato in possesso – senza disporre di una regola licenza d’uso – di 270 software commerciali prodotti da Microsoft, Adobe, Symantec ed altre importanti aziende del settore.
Tali programmi erano stati posti in condivisione su ben 103 computer e su alcuni server, facenti capo sempre allo stesso imprenditore, erano stati memorizzati degli applicativi in grado di agire sulle protezioni dei vari software consentendone l’utilizzo illegale (quelli che, in gergo, sono denominati “crack“).
I giudici del Tribunale di Roma hanno stabilito che senza la prova della duplicazione del software da parte dell’imprenditore e senza la prova dell’effettivo uso, sulle singole macchine, dei dispositivi di aggiramento tecnologico presenti sul server dell’azienda non si potesse configurare il reato di duplicazione abusiva di software né la detenzione di software sprovvisto di licenza d’uso assolvendo l’imputato con la formula più ampia.
L’avvocato Fulvio Sarzana aggiunge sul suo blog: “i software al centro dell’azione legale venivano utilizzati nel settore della formazione, dunque in un contesto non commerciale, da una società che era riconosciuta come laboratorio di ricerca accreditato presso il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica“.
Non tarderà sicuramente la replica di BSA (“Business Software Alliance“), associazione internazionale nata nel 1988 che si occupa di contrastare il fenomeno della pirateria informatica, soprattutto per ciò che riguarda la violazione dei diritti di copyright nell’ambito del software. In un’indagine riferita al 2009, BSA aveva stimato come in Italia quasi un software su due risultasse “piratato” (49% del totale). Ai vertici della classifica ci sono Georgia (95%), Zimbabwe (92%) e Bangladesh (91%). In termini di valore commerciale delle applicazioni “piratate”, gli Stati Uniti sono al primo posto seguiti da Cina, Russia e Francia. Gli USA sono però in testa anche alla classifica dei Paesi più “retti” (il 20% dei software usati nell’intera nazione sarebbero “piratati”) seguiti da Giappone (21%) e Lussemburgo (21%).