Tra il 19 e 20 ottobre 2024, la nota piattaforma antipirateria sotto l’ala di AGCOM, Piracy Shield, ha incredibilmente bloccato l’accesso a Google Drive, compromettendo parte delle funzionalità di YouTube. Milioni di utenti in Italia hanno iniziato a lamentare disagi, non riuscendo più ad accedere ai file archiviati sul cloud storage dell’azienda guidata da Sundar Pichai.
Un errore, certo, ma talmente grossolano che non può non rimettere in discussione il funzionamento di una soluzione che già in passato ha mostrato fragilità e problemi di varia natura.
Perché Piracy Shield ha bloccato Google Drive
Piracy Shield è un sistema che dà ampi poteri ad AGCOM: l’obiettivo è quello di “mettere al tappeto” la pirateria online, in particolare per proteggere i diritti d’autore nel contesto delle trasmissioni sportive. Raccogliendo le segnalazioni degli aventi titolo (i detentori dei diritti, come le principali piattaforme di streaming) sotto forma di ticket, la piattaforma si attiva immediatamente, in modo automatico, ordinando ai provider Internet quali nomi di dominio e indirizzi IP devono essere bloccati.
Lascia di stucco che qualcuno abbia richiesto il blocco del dominio drive.usercontent.google.com
. Una misura sconsiderata che ha avuto come conseguenza, l’impossibilità di usare Google Drive. E meno male che il problema si è manifestato nel pieno del fine settimana, con aziende e uffici chiusi!
È possibile che non ci sia un’attenta verifica delle segnalazioni? È possibile che il primo “Pierino” di turno possa affossare il funzionamento di un servizio universalmente utilizzato come Google Drive?
Collegatevi con il sito Piracy Shield Search, che contiene informazioni su tutti i ticket aperti sulla piattaforma (leggasi, richiesto di blocco). Se selezionate FQDN e digitate quindi drive.usercontent.google.com
, potete trovare la segnalazione con la relativa e incredibile richiesta di blocco (adesso rimosso).
FQDN è l’acronimo di Fully Qualified Domain Name. In italiano, può essere tradotto come nome di dominio completo o nome di dominio pienamente qualificato. Si riferisce al nome completo di un host su Internet.
La reazione di Google
Google, che già aveva fortemente contestato le modifiche applicate a livello normativo nel nostro Paese (anche gli intermediari della comunicazione come Google sono chiamati a segnalare comportamenti lesivi o potenzialmente tali all’Autorità) sta al momento esaminando le conseguenze dell’incidente. La società potrebbe anche intraprendere un’azione legale a fronte di quanto successo e con il preciso obiettivo di far sì che situazioni simili non abbiano a ripetersi in futuro.
Secondo le normative vigenti, i proprietari di domini erroneamente bloccati hanno cinque giorni per presentare ricorso. Una finestra temporale che per le aziende i cui servizi devono risultare sempre disponibili è enormemente ampia.
La stessa white list utilizzata da Piracy Shield (si dice contenente oltre 11.000 indirizzi) si è rivelata inefficace. Sarà mai possibile che non contenga un’esclusione *.google.com
che nel caso di specie sarebbe stata efficace?
Quanto accaduto è destinato a riaprire le polemiche: in questo caso si parla di un servizio fondamentale come Google Drive, ma in quante situazioni aziende, professionisti e utenti privati potrebbero ritrovarsi investiti dalla medesima problematica? D’altra parte, gli indirizzi IP non possono essere bloccati in modo selettivo senza rischiare di colpire anche risorse legittime.
Che sia necessario rivedere con attenzione le procedure alla base di Piracy Shield appare a questo punto davvero scontato.
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