Durante il recente evento Architecture Day 2020 organizzato da Intel, uno degli aspetti che è emerso in modo più evidente è che l’azienda di Santa Clara intende investire pesantemente sull’architettura a chiplet che rappresenta ormai il futuro.
L’architettura monolitica storicamente utilizzata da Intel ha degli svantaggi ma anche degli evidenti vantaggi. Tra i principali benefici c’è la possibilità di realizzare processori in grado di raggiungere e mantenere frequenze di clock più elevate, di offrire più ampi margini di overclocking, latenze inferiori a livello di cache e core più svincolati dalle prestazioni della memoria RAM.
Anche gli svantaggi dell’architettura monolitica non sono però meno importanti: è infatti più complesso passare a processi produttivi maggiormente miniaturizzati; i costi sono più elevati, sia in termini di ricerca e sviluppo che di produzione; l’impatto sui wafer effettivamente utilizzabili e quindi sulla resa produttiva è più mercato (con un evidente impatto sull’utilizzo dei chip difettosi).
I moduli multi-chip (MCM) sui quali ad esempio AMD ha già investito pesantemente offrono vantaggi rilevanti in termini di progettazione e realizzazione.
In questo caso, i salti da un processo produttivo a quelli più “spinti” sono più semplici; la resa produttiva per singolo wafer è migliore; i costi di progettazione e produzione possono essere ridotti; i chip difettosi possono comunque essere riutilizzati.
Negli ultimi anni Intel è passata da un completo rifiuto della soluzione MCM all’adozione dei chiplet come approccio migliore per il futuro.
Gli anni di sforzi e risorse che Intel ha impegnato per far avanzare i suoi processi a 10 e 7 nm sono l’evidente conferma che l’utilizzo di core monolitici non è più fattibile come in passato sia dal punto di vista economico che tecnico. L’impatto a livello di wafer di silicio quando Intel si trova a realizzare processori con un elevato numero di core comincia evidentemente a diventare insostenibile.
Nell’immagine, a sinistra, è rappresenta la concezione di un processore basata su architettura monolitica dei. Essa richiede, secondo Intel, un periodo di sviluppo compreso tra i 3 e i 4 anni. Non c’è possibilità di riutilizzo e il processo è più soggetto ad errori.
Al centro il design di tipo MCM che di fatto AMD utilizza attualmente: per Intel esso necessita di uno sviluppo quantificabile in 2-3 anni, espone a un numero inferiore di errori ed è maggiormente riutilizzabile. A conferma di ciò, basti pensare che AMD utilizza il design Zen 2 sia nei suoi processori general-purpose che nella linea EPYC.
Più a destra c’è un progetto MCM basato su un’architettura chiplet di nuova generazione che riflette l’obiettivo di Intel: ciascuno degli elementi del chip può essere suddiviso in un gran numero di elementi con la possibilità di costruire soluzioni con un alto grado di personalizzazione a fronte di un costo molto basso, un basso impatto a livello di wafer e un alto grado di “riciclo”.
Creare un’architettura altamente scalabile, facile da progettare e da gestire a livello di wafer, con un alto grado di affidabilità e un buon equilibrio tra prestazioni, personalizzazione e riutilizzo è il traguardo al quale sta adesso puntando Intel. La stessa azienda guidata da Bob Swan non esclude l’utilizzo di soluzioni con processi produttivi ibridi, una soluzione non nuova visto che AMD ha già intrapreso questa strada con Zen 2, un’architettura che combina chiplet a 7 nm con unità di I/O a 12 nm.
Se Intel riuscirà a rispettare i suoi piani, i primi chip mainstream basati su un approccio di questo tipo saranno gli Alder Lake-S (Intel parla dei nuovi Alder Lake ibridi con un massimo di 16 core): essi combineranno infatti cluster ad alte prestazioni basati sulla serie Core con cluster ad alta efficienza di tipo Atom. Dovrebbero inoltre fare ricorso a un processo costruttivo a 7 nm.