Dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) è diventato un obbligo per imprese e professionisti dal 1° ottobre 2020. Tali soggetti sono infatti chiamati a comunicare il proprio indirizzo PEC al Registro delle Imprese, al Collegio o all’Ordine di appartenenza.
Questo passaggio permette infatti di istituire il cosiddetto domicilio digitale: atti, avvisi, notifiche e in generale le comunicazioni ufficiali da parte della Pubblica Amministrazione verranno così trasmesse sulla casella PEC senza più essere trasmesse per posta in forma cartacea.
L’obbligatorietà della PEC per imprese e professionisti è ormai cosa nota mentre un simile provvedimento che coinvolga soggetti privati è probabilmente lontano dall’essere approvato. Non tutti i cittadini, soprattutto coloro che sono un po’ più avanti con l’età anagrafica, sono nelle condizioni di disporre della connettività, degli strumenti informatici e delle conoscenze per accedere al contenuto della propria casella PEC.
Nell’articolo PEC, come funziona la posta elettronica certificata. Guida agli aspetti meno noti abbiamo visto che cos’è la PEC nell’attuale formulazione e implementazione e cosa non è; abbiamo inoltre invitato a considerarla comunque un mezzo di comunicazione e non certo uno strumento per l’apposizione della firma digitale sui documenti allegati.
L’attuale PEC è uno strumento potente per far valere le proprie ragioni (soprattutto se utilizzato in modo corretto e accertandosi di richiedere una ricevuta di avvenuta consegna in forma completa) che permette di interagire con imprese, professionisti e Pubblica Amministrazione italiani. A breve per la PEC tricolore diverrà interoperabile a livello europeo sulla scorta di quanto previsto dal Regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services): La PEC diventa interoperabile a livello europeo: cosa cambierà a breve.
Imprese e professionisti, dopo aver comunicato i rispettivi indirizzi PEC, dovrebbero risultare individuabili sul servizio INI-PEC.
La presenza all’interno del database rappresenta la conferma dell’istituzione del domicilio digitale.
La mancata istituzione del domicilio digitale previa registrazione della PEC può portare a sanzioni amministrative fino a 2.064 euro per le società e fino a 1.548 euro per le ditte individuali. La multa può essere addirittura integrata con la sospensione dell’attività nei confronti degli ordini professionali e del professionista stesso.
Sfatiamo un “falso mito”: dal momento che per il privato non vi è l’obbligo di registrare un indirizzo PEC, l’attivazione di una casella di posta elettronica certificata non implica l’immediata costituzione di un domicilio digitale a meno che il cittadino comunichi alla Pubblica Amministrazione la sua espressa volontà di procedere in tal senso.
Attivando un indirizzo PEC non si riceveranno automaticamente multe, cartelle esattoriali, accertamenti fiscali, documentazioni varie da parte della Pubblica Amministrazione all’interno della casella.
Soltanto informando l’Ufficio Anagrafe del proprio Comune di residenza sul proprio indirizzo PEC il cittadino potrà di fatto attivare il domicilio digitale: a quel punto la casella PEC diventerà utilizzabile da parte di qualunque Pubblica Amministrazione.
AgID ha aperto a metà 2020 una consultazione pubblica informando che è in fase di studio l’istituzione del registro dei domicili digitali delle persone fisiche non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese. Ma ancora una volta è bene sottolineare che l’attivazione del dominio digitale da parte dei privati è e resta assolutamente opzionale.
I principali gestori PEC informano che sono sempre di più i privati che attivano un indirizzo di posta elettronica certificata, anche senza stabilire il domicilio digiale. Questo perché la PEC si rivela spesso fondamentale per inviare comunicazioni formali ad aziende e professionisti oppure, in alcuni casi, come alternativa a SPID per inviare documentazione alla Pubblica Amministrazione.
Nonostante si legga periodicamente della presunta obbligatorietà di attivare un indirizzo PEC da parte degli automobilisti anche in questo caso non è previsto nulla di simile.
A inizio ottobre 2019 il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ha presentato una proposta di legge (n. 2146) che contiene, tra le varie indicazioni, anche quanto segue: “all’atto dell’immatricolazione dei veicoli ovvero della revisione periodica degli stessi, il proprietario comunica il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ai fini delle notificazioni di cui all’articolo 201 del presente codice e alle disposizioni del decreto del Ministro dell’interno 18 dicembre 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2018“.
Si tratta di una proposta di modifica dell’articolo 80 del Codice della Strada in cui si fa riferimento all’obbligo da parte del proprietario di ogni veicolo di comunicare il suo indirizzo PEC. A tale indirizzo verrebbero trasmessi eventuali verbali e altre notifiche relative al mezzo di proprietà del cittadino.
Si tratta però di una proposta di legge che ad oggi non è stata oggetto di approfondimenti e discussioni. Per quanto osservato poco sopra sembra improbabile che la registrazione dell’indirizzo PEC da parte degli automobilisti possa diventare un obbligo quanto piuttosto una “facoltà” utile anche in ottica di dematerializzazione, semplificazione (non vi sarebbe più la necessità di recarsi presso gli uffici postali per ritirare i documenti quando non presenti per il ritiro presso il proprio domicilio fisico) e risparmio per lo Stato e il cittadino (ogni sanzione prevede 10-15 euro di costi di notifica che con la PEC si azzererebbero). Nulla più.