Hanno destato grande scalpore le dichiarazioni rese da un personaggio di spicco come Beppe Grillo che ha derubricato l’esperienza Open Fiber a una sorta di esperimento fallimentare auspicando la necessità di una rete di telecomunicazioni unica.
Così l’azienda equamente compartecipata da Enel e Cassa Depositi e Prestiti ha voluto rispondere immediatamente sostenendo come Grillo sia stato “evidentemente mal informato“.
L’azienda guidata da Elisabetta Ripa ha innanzi tutto osservato che se davvero Open Fiber fosse un progetto senza futuro non avrebbe fatto registrare partnership di spicco che sono state siglate l’una dietro l’altra: Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Tiscali, SKY, Orange, solo per citarne alcune, non solo a livello nazionale ma anche internazionale.
Si tratta di soggetti che hanno scelto di collaborare con Open Fiber per puntare su una rete nuova tutta in fibra, fino al modem-router dell’utente (FTTH, Fiber-to-the-Home).
E, ancora, osserva Open Fiber, “se davvero fosse fallimentare perché questo evidente interesse di aziende (TIM) e di grandi fondi infrastrutturali ad investire nel progetto o ad acquisirlo a caro prezzo? Forse perché invece in meno di tre anni ha coperto un terzo del Paese diventando la terza rete in fibra ottica in Europa dopo Telefonica ed Orange (la prima gestita da un operatore wholesale only) con 8,6 milioni di unità immobiliari già cablate ed un piano di risorse per portarla, con questo passo, ad oltre 20 milioni di case in tre anni“.
Oltre 10.000 persone stanno oggi lavorando a vario titolo sotto l’ala di Open Fiber che, tra l’altro, diversamente da quanto sostenuto da Grillo, non fa concorrenza a “tutti gli operatori tradizionali”, ma solo a TIM.
“Tutti gli altri operatori hanno invece tratto beneficio dall’accresciuta concorrenza sul mercato: negli ultimi mesi hanno infatti espresso ripetutamente giudizi positivi su Open Fiber e hanno annunciato che contrasteranno un ritorno a un monopolio verticalmente integrato con tutti gli strumenti a loro disposizione“.
L’azienda presieduta da Franco Bassanini ha inoltre precisato che gli investimenti pubblici vengono corrisposti a Open Fiber “solo a stati di avanzamento, e dunque per le infrastrutture effettivamente costruite e per le quali la società investe anche risorse proprie“. Inoltre, si legge nel comunicato di quest’oggi “Open Fiber ha vinto tutte le gare pubbliche perché il suo progetto è stato giudicato il migliore, ha una quota di fibra più elevata e impiega meno soldi pubblici dei progetti respinti“.
Non manca poi una stoccata nei confronti di TIM con Open Fiber che rileva come “le uniche duplicazioni esistenti siano state fatte da TIM con il suo progetto Cassiopea, per il quale è anche stata sanzionata con una multa da 116 milioni dall’Antitrust il 6 marzo 2020“. Progetto Cassiopea che, diciamo noi, è stato poi recuperato recentemente con il benestare di AGCOM al fine di gestire meglio l’emergenza COVID-19: TIM: fibra FTTC fino a 200 Mbps in altri 700 comuni, 5.000 cabinet attivati in futuro.
Open Fiber ammette che ci sono dei ritardi sullo sviluppo della rete nelle aree bianche, “prive di connettività a causa di decenni di mancati investimenti. È vero, ritardi in parte derivanti dalla guerra legale avviata da TIM e da una burocrazia che blocca qualsiasi iniziativa sul territorio“.
Dall’azienda si assicura comunque che entro fine 2022 il 92% delle unità immobiliari previste dal grande piano BUL sarà connesso, con una coda nel 2023 per l’8% delle unità Immobiliari residue: Banda ultralarga: ecco lo stato dei cantieri.
“In questo modo l’Italia vedrà realizzata – in circa 4 anni dall’avvio dei cantieri nelle aree C e D (metà 2018) – una nuova rete nazionale e pubblica in fibra ottica“, si prosegue.
Quanto all’infrastruttura privata unica aperta a tutti auspicata da Grillo (controllata da TIM e che metta insieme reti mobili, 5G e banda ultralarga con accesso da postazione fissa), Open Fiber osserva che verrebbe a crearsi un monopolio talmente vasto che nessun legislatore o autorità potrebbe autorizzare (senza contare i legittimi interessi di chi investe tempo e ingenti risorse nel business) “ma che soprattutto metterebbe il destino della rete nelle mani di chi per decenni non ha investito adeguatamente in moderne infrastrutture, generando il divide che si vorrebbe invece colmare“.