Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) hanno pubblicato un documento aggiornato che fa il punto sull’eventuale correlazione tra l’esposizione ai campi elettromagnetici e l’incremento di patologie tumorali.
A pagina 84 del World Cancer Report: Cancer Research for Cancer Prevention, studio aggiornato al 2020 (scaricabile gratuitamente in formato PDF a questo indirizzo) viene innanzi tutto tracciata una netta distinzione tra radiazioni ionizzanti e non.
Le radiazioni caratterizzate da una lunghezza d’onda molto contenuta sono le più pericolose e sono dette ionizzanti (si pensi all’ultravioletto, ai raggi X e ai raggi gamma): tali radiazioni trasportano sufficiente energia per ionizzare atomi o molecole (ovvero, in fisica, per rimuovere completamente un elettrone da un atomo o molecola). Basti pensare, infatti, alle protezioni il cui utilizzo viene puntualmente prescritto da medici ed esperti quando ci si espone al sole per lunghi periodi (raggi ultravioletti, UV) ed alle attenzioni che i tecnici di radiologia ripongono ogniqualvolta un paziente debba ad esempio effettuare una radiografia.
I dispositivi elettronici dotati di moduli radio GSM/2G, 3G, 4G/LTE, 5G, WiFi, Bluetooth, NFC e così via trasmettono informazioni utilizzando radiazioni non ionizzanti: ciò significa che la lunghezza d’onda è maggiore di quella della luce (spettro ottico, visibile).
Nel documento redatto da OMS e IARC si conferma che “studi epidemiologici che coinvolgono persone esposte a bassi livelli di radiazioni ionizzanti provenienti dall’ambiente (sorgenti naturali e artificiali), professioni o procedure diagnostiche mediche dimostrano che il rischio di leucemia e altri tipi di cancro aumenta con la dose di radiazioni“.
Vengono invece escluse relazioni tra l’insorgenza di una patologia tumorale e l’utilizzo di cellulari e smartphone: “la maggior parte della ricerca epidemiologica non supporta un’associazione tra l’uso del telefono cellulare e i tumori che si verificano nella testa, che è la parte del corpo con la più alta esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza. Negli studi che riportano associazioni positive, è difficile escludere varie forme di distorsione. (…) Nonostante i notevoli sforzi di ricerca, nessun meccanismo rilevante sul piano della cancerogenesi è stato identificato fino ad oggi per quanto riguarda i campi elettromagnetici a radiofrequenza. Inoltre, la maggior parte della ricerca epidemiologica non indica la cancerogenicità dei campi elettromagnetici a radiofrequenza. Ciò implica che ogni rischio potenzialmente non rilevato dovrebbe essere ridotto dal punto di vista del singolo individuo“.
Come ricordano OMS e IARC, i campi elettromagnetici a radiofrequenza sono emessi da varie sorgenti. Per i normali cittadini, le fonti più rilevanti sono i dispositivi di comunicazione wireless e le antenne/ripetitore.
Nel caso degli smartphone, comunemente utilizzati in prossimità del corpo, l’esposizione al campo elettromagnetico viene misurata utilizzando un parametro detto SAR che esprime il tasso di assorbimento specifico (in watt per chilogrammo di peso; vedere Radiazioni telefono cellulare e tumori: le conclusioni di uno studio durato 10 anni).
Nel caso delle antenne della telefonia mobile, degli hotspot e degli altri trasmettitori la metrica utilizzata per calcolare l’esposizione al campo consiste nell’utilizzo del volt per metro (V/m).
Citando gli studi sin qui svolti su gruppi più o meno ampi di persone, OMS e IARC fanno presente che è sempre presente un’incertezza nei calcoli e che la situazione è in continuo divenire. Purtuttavia, viene rimarcato come la potenza adattiva dei telefoni cellulari in funzione della qualità della rete (leggasi copertura del territorio) è una variabile importante.
La potenza media per le chiamate effettuate sulla rete GSM/2G è comunque risultata essere 100-500 volte superiore a quella delle chiamate sulle reti 3G.
In ogni caso, poiché “i campi elettromagnetici a radiofrequenza appartengono alla zona non ionizzante dello spettro elettromagnetico, l’energia in gioco è troppo debole per ionizzare le molecole e quindi causare danni diretti a livello di DNA“, si legge. “L’assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche è noto per gli effetti di riscaldamento sul tessuto biologico ma un minimo aumento della temperatura al di sotto dei limiti normativi non dovrebbe aumentare il rischio di cancro. Nonostante i notevoli sforzi di ricerca, nessun meccanismo rilevante per la carcinogenesi è stato identificato fino ad oggi“.
OMS e IARC concludono indicando che “poiché i cellulari sono fonte dell’apporto più marcato in termini di esposizione e poiché la potenza scende rapidamente aumentando la distanza dalla fonte (legge dell’inverso del quadrato), la misura precauzionale più semplice ed efficace è quella di tenere lo smartphone un po’ più lontano dal corpo durante l’utilizzo. In questo modo si determinerà una sostanziale riduzione dell’esposizione“.
Per approfondire ulteriormente, è possibile consultare l’articolo 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?.
Sempre in tema di 5G, vale la pena tenere presente che sul piano delle potenze in gioco non cambia nulla (in Italia vige sempre il limite di 6 V/m) mentre nell’articolo 5G: cosa cambia nell’utilizzo delle frequenze abbiamo visto come varia l’impiego delle bande di frequenza.