Normativa europea a tutela del copyright: il motore di ricerca diventerà una landa deserta

Se i nuovi provvedimenti in materia di tutela del diritto d'autore voluti in sede europea dovessero essere definitivamente approvati, secondo Google il motore di ricerca e gli altri servizi saranno costretti a mostrare pochissime informazioni.

Nell’ambito della nuova direttiva europea a tutela del diritto d’autore ci sono due articoli (11 e 13) che da mesi sono oggetto di continue critiche e richieste di revisione: vedere Approvata la nuova direttiva europea sul copyright.

L’articolo 11 dà modo agli editori online di bussare alla porta di Google e degli altri servizi aggregatori di notizie (simili a Google News) per richiedere un corrispettivo economico a fronte dei contenuti parzialmente riprodotti; l’articolo 13, invece, impone alle piattaforme che accolgono i contenuti degli utenti di scandagliare ogni singolo file e bloccare tempestivamente quelli lesivi degli altrui diritti (ad esempio pubblicati in violazione del copyright).

Come Sir Tim Berners-Lee, Vint Cerf, Bruce Schneier, Jimmy Wales, Mitch Kapor ed EDiMA, associazione europea che rappresenta le principali piattaforme online, noi stessi abbiamo più volte posto l’accento su quelle che appaiono proposte insensate e anacronistiche.

Secondo quanto riferiscono fonti vicine a Google, l’azienda di Mountain View starebbe provando una nuova versione del suo motore di ricerca che potrebbe sostituire quella attuale se le nuove disposizioni di legge dovessero essere definitivamente approvate.

Le pagine contenenti i risultati delle ricerche (SERP) apparirebbero quasi deserte, senza immagini, senza titoli e senza le brevi citazioni provenienti dalle pagine precedentemente indicizzate.

Richard Gingras, vice presidente di Google News, aveva recentemente dichiarato che diversamente da quanto accade in altre parti del mondo, i cittadini europei potrebbe non riuscire più a trovare sul web le informazioni più rilevanti e pertinenti riuscendo ad accedere soltanto a quelle per cui sono stati siglati accordi commerciali. “Crediamo che le informazioni che mostriamo debbano essere basate su standard qualitativi e non sui pagamenti (agli editori, n.d.r.). E crediamo che non sia nell’interesse dei cittadini europei modificare questo assetto“.

Sposiamo in toto questa posizione e ci auguriamo che se le nuove disposizioni dovessero davvero entrare in vigore Google e gli altri attori attivino un meccanismo opt-in cui potranno beneficiare tutti gli editori più intelligenti che ben comprendono il valore della visibilità sui motori di ricerca e non intendono ricevere alcun “obolo”.
D’altra parte il meccanismo per esprimere il proprio opt-out e non essere indicizzati sui motori di ricerca esiste già e si chiama robots.txt: troppo comodo chiedere a Google di indicizzare le proprie pagine, dar loro visibilità e allo stesso tempo ricevere un obolo per la pubblicazione su Google News o su altri servizi.

Che il legislatore non conosca l’esistenza e le finalità del file robots.txt non ci sorprende ma che nessun consulente abbia confutato tecnicamente lo schema normativo proposto è ancora più sconvolgente. E non è certo così che si supporta il giornalismo, quello sano e svolto in maniera professionale.

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