LimeWire, l’ormai defunta piattaforma di file sharing, ed il suo fondatore hanno siglato un accordo con la RIAA, associazione che riunisce i produttori discografici statunitensi. Per metter fine alla vertenza quinquennale legata alle violazioni di copyright delle quali è accusato LimeWire, quest’ultimo si è impegnato a versare alla RIAA una somma pari a 105 milioni di dollari.
La battaglia contro l’ultimo dei servizi commerciali per lo scambio di file era iniziata quando la RIAA cominciò ad aggredire legalmente i singoli utenti che mettevano a disposizione materiale coperto dalle leggi a tutela del diritto d’autore. L’Associazione Americana dell’Industria Discografica dette il via a qualcosa come oltre 20.000 cause nei confronti di singoli individui, un modus operandi che oggi appare ormai abbandonato.
La RIAA, piuttosto, si trova oggi a decidere in che modo affrontare le potenziali “minacce” provenienti da realtà quali Google ed Amazon che hanno offerto servizi di storage online (“in the cloud“) per la memorizzazione di tracce musicali e la riproduzione delle stesse su più dispositivi differenti.
Né Amazon né Google hanno ottenuto alcun permesso da parte delle major ed Apple è accreditata del lancio di un servizio simile nel breve periodo. Se un brano musicale può essere ascoltato e memorizzato, ad esempio, in un iPhone, lo stesso file può essere legalmente riprodotto, sul medesimo dispositivo, facendo uso delle funzionalità di storage online. Almeno in teoria.
Gli osservatori prevedono però che la RIAA possa avere qualcosa da ridire. Con il caso LimeWire ormai giunto a conclusione, l’associazione potrebbe infatti bussare alla porta di aziende del calibro di Apple, Amazon e Google.