Leonardo da Vinci aveva scoperto la relazione tra gravità e accelerazione prima di Newton ed Einstein

Un team di accademici californiani si accorge di un appunto affascinante tra i tanti contenute nelle immense raccolte di Leonardo da Vinci. Il genio del Rinascimento aveva intuito la relazione tra gravità e accelerazione e il suo modello porta al calcolo della costante gravitazionale con un'approssimazione del 97%.

La relazione tra gravità e accelerazione è descritta dalla seconda legge di Newton: essa afferma che la forza totale che agisce su un oggetto è uguale alla massa dell’oggetto moltiplicata per la sua accelerazione. Si tratta della ben nota F = m * a.

Leonardo da Vinci aveva però scoperto la relazione tra gravità e accelerazione ben prima rispetto a Isaac Newton e Albert Einstein.
Lo ha scoperto Mory Gharib del California Institute of Technology o Caltech, una delle università più premiate nell’ambito della ricerca e costantemente impegnata nei campi dell’ingegneria e delle scienze naturali.

Dalla lettura della ricerca di Gharib e dei suoi collaboratori si evince chiaramente che Leonardo aveva tentato di tracciare il legame tra gravità e accelerazione.
L’ingegnere Caltech si è accorto della presenza, tra i tanti schizzi elaborati da Leonardo, di una sorta di barattolo dal quale uscivano granelli di sabbia. I piccoli schizzi di triangoli disegnati dallo scienziato e inventore italiano sono chiara evidenza delle intuizioni di Leonardo.

Gharib e i suoi hanno voluto approfondire provando a creare una versione moderna dell’esperimento condotto agli inizi del 1500 da Leonardo. Con grande stupore e immensa emozione, i ricercatori accademici hanno potuto accertare che usando calcoli moderni, il modello di Leonardo ha prodotto un valore per la costante gravitazionale G con una precisione di circa il 97%.

Non sappiamo se Leonardo abbia fatto ulteriori esperimenti o abbia approfondito questa questione. Ma il fatto che stesse affrontando i problemi in questo modo, all’inizio del 1500, dimostra quanto fosse avanti il ​​​​suo pensiero“, ha osservato Gharib.

L’affascinante scoperta di Gharib è stata possibile esaminando gli appunti a margine del Codice Arundel, una raccolta di appunti e schizzi datati tra il 1480 e il 1518, ora conservati presso la British Library. Uno degli schizzi mostrava un triangolo rettangolo isoscele con la scritta “Equatione di Moti” lungo l’ipotenusa. L'”etichetta” era stata apposta con la tipica forma di “scrittura speculare” che utilizzava Leonardo.
Flavio Nova, uno degli ex studenti di Gharib, è riuscito a tradurre gli appunti di Leonardo e a fornire le preziose chiavi per la sua corretta interpretazione.

I modelli di Leonardo erano fondati sulla sua osservazione della realtà: quella brocca d’acqua che veniva fatta muovere a un’altezza fissa lungo una linea retta, parallela al suolo, mentre i granelli di quella che molto probabilmente era sabbia fuoriuscivano, si è rivelato un modello molto utile che ha permesso di trarre conclusioni determinanti senza fare uso di alcuno strumento (a questo indirizzo si può trovare copia dei modelli leonardiani e un video che dà conto della simulazione svolta dagli accademici di Caltech).

Partendo dai dati di Leonardo ed eseguendo le corrispondenti simulazioni al computer, Gharib e i suoi collaboratori hanno rilevato che il grande talento del Rinascimento aveva commesso un errore notevole. Egli pensava infatti che la distanza dell’oggetto in caduta sarebbe raddoppiata ogni volta ovvero riteneva che fosse proporzionale a 2t invece di essere, com’è corretto, proporzionale a t2, dove t = tempo.

D’altra parte, però, per valori di t molto piccoli, il grafico tracciato da Leonardo e quello corretto sono di fatto sovrapponibili. E poiché gli appunti di Leonardo mostrano solo un oggetto che cade per non più di quattro intervalli di tempo, egli aveva usato la sua equazione sbagliata nel modo corretto.

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