Un paio di anni fa Lenovo fu aspramente criticata dopo la scoperta, in alcuni modelli dei suoi notebook, di un adware – battezzato Superfish – che monitorava le sessioni di navigazione online degli utenti, controllava il loro comportamento, le loro abitudini e preferenze quindi esponeva informazioni pubblicitarie addizionali nelle pagine web.
Cosa ancor più grave, Superfish installava sul sistema un proprio certificato digitale e attivava un server proxy locale così da farvi transitare tutte le richieste verso le pagine HTTPS.
In questo modo, Superfish aveva la possibilità di leggere il contenuto delle pagine cifrate e modificarle liberamente ponendo in essere una sorta di attacco man-in-the-middle (del funzionamento di Superfish abbiamo parlato in diversi nostri articoli).
Lenovo si scusò circa la presenza dell’adware e fornì tutte le indicazioni per la sua immediata rimozione.
Nel frattempo, la Federal Trade Commission (FTC) statunitense avviò una serie di verifiche a carico di Lenovo che è culminata nell’accettazione odierna, da parte della società cinese, di versare una sanzione amministrativa pari a 3,5 milioni di dollari.
Lenovo si è impegnata a non preinstallare più alcun software capace di “iniettare” elementi aggiuntivi nelle pagine web visitate dagli utenti e ad astenersi dal comunicare a terze parti informazioni personali della clientela.
La multa irrogata a Lenovo appare obiettivamente davvero contenuta ma ciò che lascia perplessi sono i commenti rilasciati dall’azienda. Lenovo, infatti, pur dichiarandosi soddisfatta circa la conclusione di una vicenda durata due anni e mezzo, continua a contestare nel merito la decisione. Lenovo dichiara di non conoscere, neppure allo stato attuale, componenti dannosi che abbiano sfruttato Superfish per raccogliere informazioni sugli utenti e lanciare attacchi.