Un gruppo di ricercatori del MIT (“Massachusetts Institute of Technology“) ha affermato di aver individuato una modalità attraverso la quale è possibile velocizzare la compressione delle immagini nonché dei flussi audio e video utilizzando una versione migliorata della cosiddetta “trasformata di Fourier veloce“, applicazione dell’analisi matematica tra le più importanti in assoluto.
La trasformata di Fourier offre uno strumento per scomporre (e successivamente ricombinare) un segnale complesso in una serie di porzioni a sé stanti (sinusoidi con frequenza, ampiezza e fasi differenti). Nel 1965 è stato presentato un algoritmo ottimizzato (FFT, Fast Fourier Transform) che rende il calcolo della trasformata molto più veloce e più adatto all’utilizzo pratico. Di grandissima importanza nell’elaborazione dei segnali digitali, l’algoritmo FFT è già stato impiegato anche nel campo della compressione eliminando ad esempio tutte le frequenze che possono essere considerato di minore importanza.
I ricercatori Dina Katabi e Piotr Indyk coadiuvati dagli studenti Eric Price e Haitham Hassanieh, sostengono di aver messo a punto una versione ottimizzata dell’algoritmo FFT. Come l’FFT, anche l’algoritmo usato dagli studiosi del MIT lavora su segnali digitali ossia su una serie di “numeri”, un campione discreto del segnale analogico (ad esempio, il suono emesso da uno strumento musicale). FFT prende in esame un segnale digitale contenente un certo numero di campioni e lo esprime come la somma pesata di un equivalente numero di frequenze. Il termine “pesata” sta a significare che alcune delle frequenze hanno maggiore importanza rispetto alle altre. Alcune delle frequenze, hanno un “peso” talmente ininfluente da poter essere eliminate.
Ed ecco perché, si spiega dal MIT, la trasformata di Fourier è utilissima per la compressione dei dati: in un’immagine, un blocco di dimensioni pari a 8×8 pixel può essere pensato come un segnale composto da 64 campioni e quindi come la somma di 64 differenti frequenze. Studi empirici svolti dai ricercatori del MIT mostrano come, in media, addirittura 57 campioni possano essere agevolmente rimossi senza alcun impatto sulla qualità dell’immagine presa in esame.
Una volta che si è estratto un bit, ci sono due differenti metodi per determinare che cosa può essere scartato: il primo consiste nel suddividere lo spettro in porzioni più piccole mantenendo solamente quelle in cui si concentra il segnale con la maggior potenza. Il secondo, invece, prende spunto dalla tecnica usata nelle reti 4G chiamata OFDMA.
Secondo gli esperti del MIT la ricerca avrebbe portato a risultati davvero eccellenti: in alcune circostanze i benefici in termini prestazionali che si avrebbero impiegando la versione aggiornata dell’algoritmo FFT sarebbero pari addirittura a dieci volte. A trarne vantaggio potrebbero essere, in primis, i possessori di smartphone che potrebbero trasmettere pesanti file video riducendo i consumi energetici (leggasi, aumentando la durata della batteria) ed il quantitativo di dati trasmessi in rete (ad esempio in modalità wireless od attraverso la connessione dati messa a disposizione dall’operatore telefonico).