La SEO ha rovinato il Web: Google non ci sta e risponde per le rime

Danny Sullivan (Google) risponde alle critiche e spiega che la SEO, quella buona, è sempre viva e vegeta.
La SEO ha rovinato il Web: Google non ci sta e risponde per le rime

Le tecniche SEO (Search Engine Optimization) sono cambiate tanto nel corso degli ultimi anni, sotto la spinta dei radicali cambiamenti che hanno contraddistinto i motori di ricerca e della sempre più massiccia introduzione dell’intelligenza artificiale per le attività di ranking e proposizione dei contenuti agli utenti finali.

I motori di ricerca come Google hanno costantemente aggiornato i loro algoritmi per fornire risultati di ricerca più pertinenti e di qualità agli utenti. Questi aggiornamenti sono finalizzati a identificare e penalizzare pratiche SEO scorrette e a premiare contenuti di qualità, pertinenti e utili. Limitandoci a Google, tuttavia, l’ecosistema dell’azienda di Mountain View è diventato sempre più “liquido” con un notevole numero di servizi che, per diversa parte, concorrono a determinare la visibilità di ogni singolo progetto pubblicato sul Web.

Con l’aumento dell’uso di dispositivi mobili e degli assistenti vocali, inoltre, i modelli di ricerca sono cambiati. Le query vocali sono spesso più conversazionali e richiedono attività di ottimizzazione molto diverse.

La vecchia SEO è morta e quella nuova ha subìto un’involuzione

Da qualche tempo a questa parte si levano regolarmente voci che criticano la qualità dei risultati forniti per primi dai motori di ricerca nelle SERP (search engine results page). Sempre più spesso si fa presente che “content farm“, siti che ospitano pagine poco rilevanti per gli utenti, riescono comunque a sopravanzare siti con una reputazione e un’autorevolezza sulla carta ben maggiori.

Secondo alcuni, certi esperti SEO sfruttano le “debolezze” degli algoritmi per manipolare i risultati forniti dai motori di ricerca e proporre, a quanti più utenti possibile, pagine Web che non dovrebbero stare su posizioni così elevate.

La costante evoluzione degli algoritmi di ricerca ha portato a cicli di adattamento da parte degli specialisti SEO, con il conseguente sfruttamento di “scappatoie”, poi seguiti da aggiornamenti dei motori di ricerca per combattere pratiche ritenute sleali o fuorvianti. I sempre più frequenti e massivi core update di Google rappresentano l’evidenza più chiara delle contromisure che l’azienda leader del Search online sta mettendo in pratica.

Tante strategie SEO non ammesse oggi cercano di “forzare” il sistema piuttosto che puntare sul miglioramento della qualità dei siti Web. Questo è un dato di fatto.

Ah…, quando c’era Matt Cutts

Uno dei commenti che ricorrono più spesso quando si guarda in casa Google Search è l’esclamazione: “ah, quando c’era Matt Cutts, tutto funzionava meglio…”. Anche l’autore dell’articolo citato in precedenza ne parla.

Fino al 2015, una figura come quella di Matt Cutts faceva da tramite tra gli specialisti SEO e Google, mostrava un atteggiamento aperto e riflessivo nei confronti delle critiche e delle richieste di feedback, pubblicava regolarmente suggerimenti su come ottimizzare la propria presenza online nel pieno rispetto delle “regole del gioco”.

Va detto che dal 2015 ad oggi, Google e il Search sono cambiati tantissimo. Parlare del 2015 o addirittura degli anni precedenti, è un po’ come pretendere di confrontare dinosauri e cagnolini. Google continua a puntare sul concetto di E-A-T (Experience, Authoritativeness, Trustworthiness) come caposaldo per valutare la qualità delle informazioni fornite dai siti Web e, di conseguenza, definirne il posizionamento.

Danny Sullivan (Google) risponde alle critiche

A fare da trait d’union tra Google e gli utenti oggi c’è Danny Sullivan che dal 2017 ha assunto il ruolo di Public Liaison for Search nell’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin. Sentendosi direttamente chiamato in causa, Sullivan ha pubblicato un lungo articolo in cui affronta nel dettaglio il ruolo degli specialisti SEO e come la posizione di Google è cambiata nel tempo.

Il manager di Google tiene a precisare, comunque, che quanto riportato nell’articolo è interamente frutto di una sua personale analisi, che può non rispecchiare necessariamente quella dell’azienda per cui lavora.

Sullyvan comincia precisando che il ruolo di Cutts non era propriamente quello di intavolare relazioni al di fuori dell’azienda bensì di sviluppare soluzioni efficaci a contrasto dei contenuti-spam. C’è invece un team, che si chiama Search Relations, che non esisteva in passato e che oggi si occupa di favorire una buona comunicazione con l’ecosistema Web guidando i creatori di contenuti nel migliore modo possibile.

Nessun favoritismo

Su un punto in particolare Sullyvan sembra non voler transigere: Google Search, tra le altre, si basa su una regola molto importante chiamata “Honest Results“. Nessuno riceve e può ricevere un aiuto per posizionarsi meglio nelle SERP; inoltre Sullyvan nega di interloquire con qualsiasi soggetto privato per fornire consigli. Ciò violerebbe la policyHonest Results“.

Il dirigente Google insiste sul fatto che la strada da battere resta e resterà sempre quella di creare contenuti utili per le persone, non ottimizzati per un bot, qualche può essere quello del motore di ricerca. Spiega che quella guida fa parte di una serie più ampia di indicazioni, Google Search Essentials, alle quali chi produce e pubblica contenuti per il Web dovrebbe attingere a piene mani, ogni singolo giorno. E si lamenta del fatto, che troppo spesso queste linee guida di carattere generale vengono puntualmente dimenticate e accantonate.

Proprio qualche giorno fa, la presa di posizione di Sullyvan su X aveva suscitato una lunghissima coda di commenti. Con un’ulteriore precisazione, Sullyvan ha osservato che sul Web chiunque può e deve scrivere di qualunque cosa egli voglia, non delle cose che si pensa piacciano a Google. Ancora una volta, contenuti per le persone, non per i motori di ricerca.

Se parli di cose specifiche, i creatori di contenuti sono eccessivamente ossessionati dal fare cose specifiche piuttosto che dall’aspetto generale che i nostri sistemi cercano di premiare“, osserva ancora. “L’aspetto cruciale è creare contenuti di qualità, contenuti pensati per le persone, che le lascino soddisfatte. Utilizziamo segnali che si allineano a questo obiettivo. Elencare questi specifici segnali individuali significherebbe indurre le persone a concentrarsi su singoli aspetti più che privilegiare l’approccio generale che è la strada per il successo“.

La SEO è viva e vegeta secondo Sullivan

Nella sua lunga analisi, Sullyvan ha ammesso che i risultati delle ricerche di Google possono essere certamente oggetto di miglioramenti e che anzi l’obiettivo è proprio quello di fornire come risposta proprio i contenuti che ciascun utente si aspetta di trovare, per ogni singola interrogazione. Al netto degli incidenti che ultimamente vengono condivisi.

D’altra parte, però, la SEO – intesa come quell’insieme di pratiche che aiutano a posizionarsi sui motori di ricerca proponendo contenuti apprezzabili dagli utenti-lettori – è viva e vegeta secondo il manager di Google. La SEO non può guardare allo spam per definizione, osserva. Ed anzi, Google combatte i contenuti spam.

Le buone pratiche SEO, invece, sono oggetto di una guida dedicata dal titolo “Guida introduttiva all’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO)“: sono questi gli aspetti che Google si sente di consigliare a tutti coloro che possiedono, gestiscono, monetizzano o promuovono contenuti online.

La SEO, come la definisce Google, è un’attività che rientra nelle linee guida fissate dall’azienda e che può aiutare a individuare e comprendere meglio i contenuti pubblicati sui siti Web. “La SEO non è un elisir magico che fa sì che i contenuti si posizionino bene“, osserva Sullivan.

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