Il primo ministro russo Vladimir Putin (nella foto) ha ordinato alle agenzie governative il passaggio completo al software opensource a partire dal 2015. La conferma arriva da fonti del Paese moscovita: si fa riferimento ad un documento che Putin avrebbe firmato questo mese e che segue un altro provvedimento teso all’adozione, a livello nazionale, di sistemi basati su Linux.
La migrazione a prodotti opensource (o comunque a software liberi; la differenza tra le due espressioni è chiarita in quest’articolo) inizierà nel secondo trimestre del prossimo anno e, secondo quanto trapelato, spetterà al ministro delle comunicazioni l’esame dei pacchetti necessari alle esigenze delle varie agenzie governative.
Stando a quanto emerso nelle scorse ore, poi, il governo russo avrebbe in programma l’allestimento di un “repository” nazionale che fungerà da raccoglitore per il software opensource. Gli osservatori si chiedono se i piani di Putin avranno successo: i precedenti tentativi di muovere parti degli organismi governativi russi verso il mondo opensource sono falliti soprattutto in forza della mancanza di un supporto a livello politico.
La svolta verso l’opensource si staglia così all’orizzonte in una nazione dove Business Software Alliance (BSA) stima (l’indagine si riferisce al 2009) vengano copiato ed installato illegalmente circa il 67% del software commerciale. Ai vertici della classifica ci sono Georgia (95%), Zimbabwe (92%) e Bangladesh (91%). In termini di valore commerciale delle applicazioni “piratate”, gli Stati Uniti sono al primo posto seguiti da Cina, Russia e Francia. Gli Stati Uniti sono però in testa anche alla classifica dei Paesi più “retti” (il 20% dei software usati nell’intera nazione sarebbero “piratati”) seguiti da Giappone (21%) e Lussemburgo (21%). Secondo BSA, quasi un software su due in Italia è ancora piratato (49%).