A poche ore dalla notizia dell’approvazione del Decreto Romani da parte del Consiglio dei Ministri, arrivano le prime analisi sul testo della norma. Il nuovo impianto del decreto appare mutato rispetto alla versione iniziale: vengono infatti esclusi dai provvedimenti i siti web gestiti da privati, i contenuti prodotti dagli utenti, le comunità d’interesse. Quando si parla di “servizi di media audiovisivi”, il decreto esclude infatti “i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse; ogni forma di corrispondenza privata, compresi i messaggi di posta elettronica; i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi; i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale“. A proposito di quest’ultimo punto vengono citati, a titolo esemplificativo, i siti Internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo; i giochi in linea; i motori di ricerca; le versioni elettroniche di quotidiani e riviste; i servizi testuali autonomi; i giochi d’azzardo con posta in denaro, ad esclusione delle trasmissioni dedicate a giochi d’azzardo e di fortuna.
L’avvocato Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione, ha sollevato – sul suo blog – qualche dubbio circa l’adeguatezza della terminologia utilizzata nel provvedimento. “La tecnologia va più in fretta del legislatore e, quindi, già domani mattina, dinanzi ad una nuova piattaforma di condivisione di contenuti audiovisivi – ipotizziamo un “video-twitter” – occorrerà provare a collocarla in una delle categorie escluse e, qualora – come appare probabile – ciò non risulti possibile, qualificarla come “servizio media audiovisivo” con ogni conseguenza per il suo gestore“, ha osservato Scorza.
Secondo la normativa approvata, inoltre, anche un videoblog di modesto successo che esponga inserzioni pubblicitarie traendone così profitto sarebbe da considerarsi un “servizio media audiovisivo” e quindi non escluso dalla nuova disciplina.
AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) ha duramente criticato il provvedimento bocciandolo senza mezzi termini e parlando addirittura di “Grande Fratello” di Stato. Nel comunicato ufficiale, AIIP osserva come il decreto legislativo possa imporre agli operatori di accesso ad Internet, attraverso l’attività di AGCOM, l’adozione di misure tecniche a protezione dei diritti delle emittenti televisive quali, ad esempio, il filtraggio dell’accesso alla Rete, l’oscuramento di siti ed il blocco di servizi. “In questo modo“, scrive AIIP, “si sottraggono pericolosamente le attività al controllo della magistratura civile e penale, trasformando di fatto i provider in sceriffi della Rete“.
Sempre secondo il parere di AIIP, il provvedimento resterebbe molto difforme dalla direttiva europea sui servizi media audiovisivi (2007/65/CE) che vorrebbe attuare. “Il Decreto sembra istituire un regime di controllo per cui sia l’Internet Provider che il Service Provider sono responsabili editoriali, persino per le violazioni del diritto d’autore compiute da terzi tramite audiovisivi“, si legge nel comunicato di AIIP.
L’On. Cassinelli, parlamentare-blogger, aveva così commentato l’approvazione del decreto: “il testo definitivo non lascia spazio ad equivoci. Non c’è alcuna volontà di imbavagliare i blog e YouTube. (…) Si tratta di un testo giuridicamente corretto, che non mina in alcun modo la libertà di espressione e la creatività degli utenti della rete“.
Il dibattito sull’argomento prosegue in Rete senza soste.