Sta facendo discutere la notizia riportata da numerose testate d’Oltreoceano con cui si punta il dito, ancora una volta, nei confronti delle autorità cinesi. Dopo il reportage pubblicato nelle scorse settimane (Sistema per la sorveglianza di massa che riconosce volti e raccoglie una vasta mole di dati), alcune fonti attendibili riferiscono che la polizia di frontiera cinese avrebbe chiesto a diversi turisti di consegnare i loro smartphone che sarebbero stati sottratti alla loro vista non soltanto per svolgere indagini ma addirittura per installare “spyware di Stato”.
Ad esse principalmente presi di mira dal provvedimento sarebbero stati soggetti musulmani provenienti dalla regione del Kirghizistan. Il fine ultimo sarebbe stato quello di analizzare con una procedura automatizzata il contenuto dei singoli smartphone (sarebbero stati richiesti PIN e password per sblocco dei dispositivi Android e iOS) alla ricerca di eventuali elementi che facessero sospettare comportamenti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale.
Mentre nel caso dei device iOS ci si limitava alla scansione del contenuto del dispositivo, sugli smartphone Android la polizia di frontiera installava un’app chiamata BXAQ: una volta in esecuzione essa si comportava di fatto come uno spyware trasmettendo verso un server remoto la lista dei contatti, il contenuto dei messaggi di testo, la cronologia delle chiamate, le informazioni del calendario, l’elenco delle app installate, i nomi utente e le password per l’accesso ad alcune applicazioni Android.
Stando a quanto riportano alcune testate, la stessa politica sarebbe stata applicata anche nel caso di normali turisti stranieri diretti verso la regione cinese dello Xinjiang, destinazioni piuttosto “gettonata” essendo dislocata sull’antica via della seta.