La MPAA, associazione che promuove gli interessi degli studi cinematografici, è tornata all’attacco di Google. Secondo la tesi dell’organizzazione, Google non dovrebbe sottrarsi ad un’opera di monitoraggio dei contenuti che vengono quotidianamente indicizzati dal suo motore di ricerca ed inseriti nelle SERP. Il 19,2% delle visite che giungono sui siti contenenti materiale coperto da copyright, distribuito senza autorizzazione alcuna ed in violazione delle leggi sul diritto d’autore, arriverebbe – secondo la MPAA – dai motori di ricerca. A generare il traffico maggiore (82%) sarebbe proprio Google che faciliterebbe l’individuazione dei file pubblicati in spregio degli aventi diritto.
La MPAA snocciola tutti i dati (che sarebbero basati sullo studio di circa 12 milioni di URL facenti riferimento a contenuti illeciti): il 40,5% dei “pirati” arriverebbe da link pubblicati su pagine web, forum e blog; il 35% da “portali” che forniscono raccolte di link senza ospitare i file veri e propri; il 19,2%, appunto, dai motori di ricerca “generalisti” come quello di Google.
Viene poi spiegato dalla MPAA come gli utenti solitamente individuano, servendosi di Google, il materiale “piratato”: si cerca il nome del titolo d’interesse ma, più spesso, lo si abbina col nome dei vari siti o servizi attraverso i quali potrebbe essere possibile il download.
Google, da parte sua, ha sempre sostenuto l’impossibilità di filtrare ogni singolo contenuto indicizzato da parte del motore di ricerca. È impossibile, nella pratica, agire aprioristicamente per impedire che qualunque contenuto pubblicato in Rete in violazione del copyright possa essere automaticamente individuato dal motore di Google ed inserito nelle SERP.
Più volte il ruolo di intermediario di Google è stato messo in discussione in sede legale pretendendo che i risultati del motore di ricerca fossero analizzati ed eventualmente rimossi a priori. L’orientamento generale dei giudici è quello di considerare però Google un vero e proprio intermediario della comunicazione che, valutata l’immensa mole di dati che si trova a gestire utilizzano algoritmi automatizzati, non può essere obbligato ad imporre filtri o ad effettuare una costante attività di monitoraggio. Il principio che è stato fissato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Corte di Giustizia europea: i provider non devono “filtrare”).
Google ha poi messo a disposizione dei detentori dei diritti alcuni strumenti per la segnalazione di link facenti riferimento a “siti pirata” pubblicando periodicamente un resoconto aggiornato sul numero e sulla provenienza delle richieste di rimozione. Come spiegato dai tecnici del colosso di Mountain View, inoltre, il motore di ricerca penalizza in automatico tutti quei link per i quali sono state ricevute diverse richieste di eliminazione (Google penalizza le pagine web che violano il copyright).
Gli interventi di Google, comunque, non sembrano aver soddisfatto la MPAA che – partendo dai dati diffusi in queste ore – sembra volersi preparare ad una nuova offensiva.