I giudici della Corte di Cassazione (terza sezione penale) hanno emesso un’importante sentenza che mette al bando in maniera chiara e netta tutte quelle attività pseudo-commerciali svolte utilizzando schemi di marketing di tipo piramidale.
La vicenda è chiara. Il titolare di due siti web, come si legge nella sentenza, ha realizzato e promosso strutture di vendita “nelle quali l’incentivo economico primario si basava sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi“. I togati della Cassazione citano le disposizioni legislative che vietano le cosiddette “catene di S.Antonio“, ideate con lo scopo di ottenere guadagni – anche molto elevati – “attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone, in cui il diritto di reclutare si trasferisce all’infinito previo pagamento di un corrispettivo“.
Nonostante il gestore dei siti web abbia cercato di dimostrare il contrario, la Cassazione ha rilevato come il suo modus operandi fosse del tutto assimilabile al funzionamento dei più noti schemi piramidali. Il soggetto che si iscriveva ai due siti, infatti, non poteva ottenere alcuna controprestazione “se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti” da inserire nel sistema, spiegano i giudici. Il fatto che l’iscrizione fosse del tutto volontaria, da parte degli utenti, non è un aspetto rilevante dal momento che la normativa vigente “non richiede l’involontarietà dell’adesione quale presupposto per la sussistenza del reato“.
Alcune informazioni sul marketing piramidale possono essere reperite facendo riferimento a questo indirizzo.