Lo scorso 5 marzo, l’ingegnere di Google Linwei Ding è stato arrestato per un presunto furto di dati segreti relativi ai chip IA dell’azienda per cui lavora. Secondo la ricostruzione, il professionista avrebbe poi venduto tali informazioni ad alcune compagnie cinesi.
Secondo il vice procuratore generale Lisa Monaco, Ding avrebbe sottratto al colosso di Mountain View oltre 500 file riservati, tra cui figuravano contenuti segreti relativi ad hardware e Intelligenza Artificiale.
Le prime indagini hanno rivelato come le informazioni rubate dovrebbero riferirsi in gran parte ai chip TPU (Tensor Processing Unit), utilizzati da Google per gestire processi come l’addestramento di Gemini. Nello specifico, i file sottratti riguarderebbero progetti relativi ai chip TPU v4 e v6 ma anche specifiche hardware e software delle GPU utilizzate nei data center di Google.
L’indagine mette alle strette l’ingegnere Google: ecco cosa è successo
Le indagini, ancora in piena fase di svolgimento, hanno rivelato come Ding avrebbe agito con il trasferimento dei file incriminati su un account Google Cloud personale, in un periodo non meglio precisato tra maggio 2022 e maggio 2023.
A rendere ancora più delicata la posizione dell’ingegnere, vi sono diversi fatti avvenuti in quel periodo. Dopo aver ottenuto un’offerta di lavoro, come CTO di una società cinese che si occupa di machine learning (chiamata Rongshu), Ding è stato in Cina per cinque mesi, fondando poi una propria startup chiamata Zhisuan. Tutto ciò è avvenuto mentre era ancora dipendente Google.
L’ingegnere si è dimesso dall’azienda nel dicembre 2023 e, secondo le indagini, avrebbe prenotato un biglietto di sola andata per Pechino. Ding è stato accusato di quattro capi di imputazione per furto di segreti commerciali. Ciò significa che, in caso di condanna, rischia fino a dieci anni di carcere e una multa di 250.000 dollari per ogni imputazione.
Se non bastasse già una situazione geopolitica delicata, i rapporti tra Stati Uniti e Cina si sono inaspriti anche per quanto concerne l’IA. Le enormi potenzialità di questa tecnologia, infatti, hanno dato il via a una vera e propria “corsa all’oro”, con investimenti da capogiro e, a quanto pare, anche casi di spionaggio.