È l’agenzia Reuters a confermarlo: in Italia, come in altri Paesi (Germania e Austria), gli operatori di telefonia mobile hanno iniziato a condividere i dati sulla posizione approssimativa degli utenti con le autorità sanitarie.
I dati, che vengono raccolti, anonimizzati e forniti alle autorità in forma aggregata, consentono di mappare le concentrazioni e gli spostamenti degli utenti possessori di un cellulare o uno smartphone in particolare nelle “zone calde” in cui COVID-19 ha preso piede.
Si tratta evidentemente di un approccio meno invasivo dal punto di vista della privacy rispetto a quello adottato, ad esempio, da Cina, Taiwan e Corea del Sud, che utilizzano le informazioni sulla posizione fisica di ciascun terminale connesso alla rete mobile per rintracciare i soggetti risultati positivi e per far rispettare gli ordini di quarantena.
Reuters conferma che in Italia, gli operatori di telefonia mobile TIM, Vodafone e WindTre avrebbero già messo a disposizione delle autorità competenti, dati aggregati per monitorare i movimenti dei cittadini.
Osserva ancora l’agenzia: “la Regione Lombardia sta utilizzando i dati per verificare quante persone stanno osservando i termini del blocco imposto. I movimenti che superano i 300-500 metri sono diminuiti di circa il 60% dal 21 febbraio, quando è stato scoperto il primo caso nell’area di Codogno“.
Nick Read, CEO di Vodafone Group, ha aggiunto: “laddove tecnicamente possibile e legalmente consentito, Vodafone sarà disponibile ad assistere i governi nello sviluppo di report complessivi basati sull’elaborazione di grandi insiemi di dati anonimizzati“.
Da alcuni sono stati sollevati diversi dubbi sul fatto che condividere i dati sulla posizione dei clienti sia utile o proporzionato, anche in un momento di crisi. Anche perché non è escluso che gli smartphone possano essere lasciati a casa. Anche il Garante Privacy italiano, Antonello Soro, aveva espresso la sua opinione sul tema appena qualche giorno fa: Coronavirus: gli Stati Uniti progettano di tracciare gli spostamenti degli utenti.
Finché i dati sono adeguatamente resi anonimi, secondo il punto di vista delle autorità, il loro utilizzo è legale, anche sulla base di quanto dispone il GDPR europeo.