Nei giorni scorsi parlavamo degli studi di Samsung sulla realizzazione di chip neuromorifici capaci di imitare le connessioni del cervello umano.
Uno studio tutto italiano che vede protagonisti i ricercatori dei Politecnici di Torino e Milano e dell’INRiM (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica) è stato appena pubblicato sulla rivista Nature.
Gli accademici propongono un nuovo approccio hardware per imitare le caratteristiche cerebrali partendo dall’evidenza che anche le più complesse funzioni del cervello, come memoria e apprendimento sono espressione di un comportamento collettivo di connessioni (sinapsi) e unità di processo (neuroni) che hanno una natura fisica e materiale.
I dispositivi messi a punto da Carlo Ricciardi, docente del Dipartimento di Scienze Applicate e Tecnologia-DISAT, Daniele Ielmini del Politecnico di Milano e Gianluca Milano dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica-INRiM si basano su reti di nanofili (nanowires) memresistivi, architetture su scala nanometrica (la stessa delle sinapsi biologiche) che mostrano le tipiche funzioni neurali come adattabilità, plasticità e correlazione spazio-temporale.
I ricercatori hanno lavorato su sistema composto da due architetture, entrambe memresistive: la rete di nanofili reagisce agli input, producendo un output spazio-temporale a dimensionalità ridotta e transitorio il quale viene poi processato da una matrice di RAM resistive non volatili.
Grazie a queste ultime è stato possibile realizzare funzioni di classificazione e inferenza usando le semplici leggi di Ohm e Kirchoff (physical in-memory computing).
Poiché la maggior parte del consumo energetico nei sistemi basati sull’intelligenza artificiale scaturisce dalla fase di addestramento della rete (la stessa cosa avviene anche nel caso delle reti neurali biologiche…), la compressione dei parametri operata dalla rete di nanofili porta a una notevole diminuzione del consumo complessivo.
Nella prospettiva di sfruttare industrialmente le enormi potenzialità del progetto, i tre gruppi italiani hanno già depositato un brevetto congiunto.
Come sappiamo, i supercomputer di Google e IBM hanno battuto campioni di giochi di strategia (scacchi, Jeopardy, Go e così via) utilizzando modelli basati sul precedente addestramento di reti neurali. Le abilità derivanti dall’implementazione di algoritmi di intelligenza artificiale stanno a poco a poco sbarcando anche sui dispositivi che tutti noi possediamo, a partire dagli smartphone.
Nonostante questi incredibili progressi la capacità del cervello umano di elaborare informazioni spazio-temporali in parallelo e a bassissimo consumo rimane inarrivabile per gli attuali approcci computazionali. Basti pensare che il consumo del supercomputer IBM Watson è circa un milione di volte maggiore di quello del nostro cervello.
La sfida raccolta dal team italiano è proprio qui: realizzare nanoarchitetture neurali artificiali efficaci ma allo stesso tempo incredibilmente efficienti.
“Abbiamo mostrato che è possibile implementare ‘in materia’ la dinamica dei processi cognitivi che da un lato sfruttano la memoria operativa a breve termine per richiamare e confrontare immagini, idee e simboli, mentre dall’altro classificano i risultati in variazioni strutturali delle nostre connessioni (memoria a lungo termine)“, spiega Ricciardi. “Tali dispositivi possono implementare paradigmi computazionali che necessitano di un addestramento limitato aprendo la strada non solo a computer sempre più intelligenti e a basso consumo ma anche a protesi neurali impiantabili che un domani potrebbero consentire il recupero o il contenimento di funzioni neurali in regressione” con enormi benefici a vantaggio dell’intera collettività.