Per più di un decennio la pratica del “typosquatting” è stata posta in essere senza pause. Essa consiste nella registrazione di nomi a dominio che “scimmiottano” quelli che caratterizzano grandi e famosi marchi. Quando l’utente digita in modo scorretto un URL nella barra degli indirizzi del browser può rischiare di trovarsi su un sito che non ha nulla a che vedere con quello d’interesse. Il “typosquatting” è spesso sfruttato da truffatori che registrano nomi a dominio imitanti URL di siti web famosi, istituzioni, istituti bancari e così via. Tali domini, statisticamente, sono stati sfruttati per porre in essere attacchi phishing o veicolare contenuti pornografici. Nonostante le contromisure che sono state attuate, a più livelli, il fenomeno del “typosquatting” rimane ancora molto forte e radicato.
Ben Edelman, assistente presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Harvard, e Tyler Moore hanno pubblicato un’indagine sul “typosquatting” stimando come i primi 3.264 domini .com
siano “imitati” negli URL da parte di ben 938.000 domini. Il duo Edelman-Moore ha studiato 285.000 di tali domini per analizzare le loro fonti d’introito.
In questo documento PDF Edelman e Moore spiegano come oggi i domini-“typosquatters” siano impiegati, principalmente, per esporre advertising “pay-per-click”. Lo studio dei due ricercatori evidenzia come l’80% dei domini (74.000 circa) includa tali “inserzioni” con una preferenza schiacciante per le soluzioni offerte da Google (i.e. Adsense).
I clic ricevuti sui messaggi esposti nei siti-“typosquatters” frutterebbero a Google qualcosa come 497 milioni di dollari l’anno. Secondo Edelman e Moore il traffico generato dai siti che usano nomi a dominio molto simili a quelli famosi e del tutto legittimi sarebbe enorme: se tutti i domini-“typosquatters” fossero presi in esame come un unico sito, si tratterebbe del sito più visitato al mondo in assoluto.