Il fisico Andreas Heinrich, ricercatore presso i laboratori di IBM, si è posto un quesito “quanto è possibile rendere piccola una struttura magnetica facendo in modo che sia sempre utilizzabile per la memorizzazione dei dati?” Heinrich ha spiegato che il team di IBM Research è riuscito ad ottenere una risposta: basta utilizzare appena 12 atomi per un singolo bit di dati. Si tratta di un numero ridottissimo se paragonato ai milioni di atomi che vengono oggi utilizzati negli odierni drive. Lo scienziato ha aggiunto che è stato possibile raggiungere il traguardo utilizzando l’antiferromagnetismo, proprietà caratteristica di diversi materiali quali il manganese, il cromo, l’ematite, gli ossidi e così via.
La scoperta permetterà, in futuro, di realizzare unità di memorizzazione che supereranno di diversi ordini di grandezza quelle a cui siamo abituati ai giorni nostri. Anziché di dischi fissi da 1 TB, si potrà comunemente avere a che fare con hard disk dalla capienza smisurata: da 100 a 150 TB.
Gli atomi ferromagnetici, ha ricordato il Heinrich, si comportano esattamente come i magneti posti nel refrigeratore. Se un atomo del magnete è polarizzato verso nord, tutti i magneti vicini avranno la medesima polarizzazione (allineamento ordinato dei dipoli magnetici).
Gli antiferromagnetici si comportano, invece, in modo differente. Se l’atomo “vicino” è polarizzato nord, quello posto immediatamente accanto sarà polarizzato sud. Questa particolare proprietà consente agli atomi di stare molti vicini l’uno all’altro sebbene, di contro, siano decisamente più difficoltosi da gestire.
I ricercatori di IBM hanno impiegato una speciale strumentazione per interagire con gli atomi antiferromagnetici, in condizioni di bassissima temperatura (1° Kelvin ossia -272 °C) assolutamente impossibili per i data center. Per lavorare alle temperature ambientali, il numero degli atomi dovrebbe essere portato da 12 a 150. Ma non è questo il punto per Heinrich che spiega come l’obiettivo dei tecnici impiegati nei laboratori IBM sia di gettare le basi per le tecnologie che saranno messe a punto nel futuro.
Heinrich ed il suo gruppo di lavoro hanno rilevato come mano a mano che venivano aggiunti nuovi atomi, i vari bit di dati diventavano più stabili. Dapprima, allora, si sono combinati 96 bit per creare un singolo byte di dati (una lettera od un numero) quindi si sono “accoppiati” più byte per creare l’informazione. La prima parola scritta utilizzando il nuovo approccio elaborato presso IBM Research è stata “THINK”: tale termine ha richiesto cinque byte per un totale di 480 atomi.
Secondo le previsioni di Heinrich ci vorranno ancora dieci anni perché il nuovo metodo per la memorizzazione dei dati individuato da IBM possa essere implementato. La ricerca, tuttavia, ha provato che i precedenti limiti teorici per la memorizzazione del dato non esistono.