I siti più visitati nel 2021: sono anche quelli in cui gli utenti hanno meno fiducia. Perché

Quali sono i domini più visitati del 2021. I siti più richiesti raccolgono però poca fiducia da parte degli utenti e dei normali cittadini. Gli Stati Uniti parlano di privacy.

Anche quest’anno Cloudflare ha utilizzato i dati provenienti dal suo servizio Radar per stilare la classifica dei siti più visitati nel 2021.
Come ha spiegato l’azienda di San Francisco i dati sono derivati dalle statistiche di traffico relative ai DNS pubblici di Cloudflare ovvero 1.1.1.1, 1.0.0.1 e le varianti IPv6. Quelli di Cloudflare sono tra i migliori DNS e supportano anche il protocollo DNS-over-HTTPS con cui sono compatibili i principali browser e Windows 11 che permette di attivare DoH.

La prima notizia, come si vede nel report di Cloudflare, è che TikTok ha addirittura superato Google passando in prima posizione dalla settima dell’anno scorso.
Sempre a livello globale, in terza, quarta e quinta posizione dopo Google ci sono Facebook, Microsoft ed Apple.

Cloudflare segnala le lusinghiere performance di Netflix che a ridosso e durante tutta la durata delle festività natalizie (lo si è visto nel 2020-2021) ha scavalcato Amazon.

In Italia, negli ultimi 30 giorni, in testa ci sono i domini Microsoft seguiti da Apple, Google, Facebook, TikTok, Amazon, Netflix e Whatsapp.

Gli utenti temono per la riservatezza dei loro dati

Nonostante il grande impatto che hanno i prodotti e i servizi delle più grande aziende sulle vite degli utenti di tutto il mondo, cresce la preoccupazione sul versante della privacy. Anche negli Stati Uniti dove fino a ieri era “tutto permesso”: ricordate la facoltà appannaggio degli operatori di telecomunicazioni che consiste nel monitorare le informazioni in transito sulla connessione di rete? Ne parlavamo nell’articolo che spiega come navigare anonimi senza che il provider sappia quali siti si visitano.

Senza parlare di monitoraggio a livello di rete e di analisi dei pacchetti dati, tutti noi ci circondiamo di una moltitudine di dispositivi che colloquiano con le varie aziende produttrici e con soggetti terzi. Si pensi ai dispositivi intelligenti, quelli dotati di assistente vocale, a tante smart TV, a tutti i prodotti che a vario livello raccolgono dati, alla moltitudine di app che installiamo sui nostri smartphone e che teniamo costantemente in esecuzione ogni giorno.

Nonostante tutto, però, secondo un sondaggio del Washington Post il 72% non si fida di Facebook, il 63% ha una considerazione simile nel caso di TikTok, il 60% nutre riserve su Instagrama (che poi è sempre Facebook, o meglio la nuova casa madre Meta), il 53% si fida poco o per nulla di WhatsApp (ancora una volta di proprietà di Meta).
In termini di pareri negativi o fortemente negativi un po’ meglio fanno YouTube/Google (rispettivamente al 53% e al 47%), Microsoft al 42%, Apple e Amazon al 40%.

Secondo il Washington Post le più marcate manifestazioni di fiducia tra le aziende che fatturano di più in assoluto le avrebbero ricevute Amazon (53%), Apple (44%) e Microsoft (43%).
Parlando di Facebook soltanto per il 10% degli intervistati il social network di Mark Zuckerberg avrebbe un impatto positivo sulla società.

Lo smartphone è sempre in ascolto ed è una minaccia per la privacy secondo molti utenti

Qualcosa come il 72% degli utenti è convinto che lo smartphone sia sempre in ascolto trasferendo a terzi informazioni personali.

Le aziende produttrici dei vari dispositivi, previa autorizzazione degli utenti, possono raccogliere dati in forma anonima e ciò è dichiarato nelle policy sulla privacy mostrate al primo avvio. Uno studio ha dimostrato che gli smartphone Android inviano 20 volte più dati a Google che iOS ad Apple. Il governo lituano avanzò inoltre alcuni dubbi sul comportamento di certi modelli di smartphone.

Facendo la tara a tutto, però, è ancora una volta fondamentale ricordare che l’utente deve usare la massima attenzione quando va ad installare nuove app sui propri dispositivi.
Tante app Android usano permessi pericolosi che vanno riconosciuti e non devono mai essere assegnati, anche se l’app proviene da una fonte complessivamente più sicura di altre come il Play Store.

La maggior parte degli utenti ritiene che il microfono dello smartphone sia sempre attivo e sarebbe per quello che si ricevono informazioni pubblicitarie su prodotti e servizi davvero di proprio interesse. Tranne poche eccezioni non è così: ne abbiamo parlato in un altro articolo sottolineando come il microfono sui dispositivi Android non sia il problema principale. I permessi che si assegnano alle app sono il problema principale, i tracker che le applicazioni contengono possono a loro volta una minaccia per la privacy. Altro che i cookie rilasciati dai browser web, peraltro facilmente riconoscibili ed eliminabili!

E sappiamo ad esempio che i backup di WhatsApp fino a “ieri”, nonostante l’utilizzo della cifratura end-to-end per le chat, erano memorizzati con password note ai gestori dei servizi di storage? E sappiamo anche che come scrive WhatsApp nelle sue note legali il caricamento dei dati su quei servizi di storage implica l’accettazione dei termini e delle informative sulla privacy che regolano l’utilizzo di tali servizi. Negli Stati Uniti è stata avviata una verifica formale.

Detto ciò non c’è motivo di temere il “Grande Fratello” descritto da George Orwell nel romanzo “1984” ma gli utenti devono essere sempre più consapevoli dell’importanza di tutelare i loro dati personali evitando di regalarli con comportamenti potenzialmente pericolosi.

Quello che cerchiamo di fare, nel nostro piccolo, è proprio offrire – tra i vari temi che trattiamo – alcuni suggerimenti concreti per evitare di esporre dati personali e riservati che potrebbero essere utilizzati anche per lanciare attacchi molto molto efficaci.

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