Dopo diversi mesi di negoziati e il pesante braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina, nonostante la guerra commerciale non abbia ancora raggiunto un accordo definitivo, il governo USA si accingerebbe a concedere una serie di autorizzazioni ad alcune tra le più importanti aziende statunitensi in modo da riattivare le attività con Huawei.
La decisione alla quale sarebbe pervenuta l’amministrazione Trump pare una diretta conseguenza delle richieste (se ne conterebbero oltre 260) pervenute dai principali colossi IT preoccupati del danno economico stimato per il prossimo futuro.
Una realtà come Huawei è fondamentale per l’economia delle multinazionali a stelle strisce e un veto senza appello causerebbe problemi enormi. Chiudere i rubinetti senza un’attenta analisi dei potenziali rischi (se presenti) e delle conseguenze (queste certe) sul business di ciascuna impresa sarebbe una manovra avventata e irresponsabile. L’Europa l’ha capito (L’Europa mette nero su bianco i rischi legati all’implementazione delle reti 5G) mentre a questo punto anche gli States sembrano assumere una posizione meno draconiana.
Per il momento i rappresentanti governativi d’Oltreoceano non fanno nomi sulle aziende che otterranno un’esenzione per continuare a fare affari con Huawei e, molto probabilmente con altre “cinesi”, ma quasi certamente i dispositivi dell’azienda fondata da Ren Zhengfei potranno riproporre preinstallati i servizi e le app di Google, compreso Play Store e Play Services.
Ed è soltanto un bene perché Huawei ha già mostrato di essere al lavoro sul suo ecosistema basato sul sistema operativo HarmonyOS: Il sistema operativo di Huawei si chiama HarmonyOS: funzionerà su una vasta gamma di prodotti, smartphone compresi.
Il segretario al commercio statunitense Wilbur Ross è ottimista e assicura che le “esenzioni” arriveranno molto presto considerato anche che la chiusura di un primo accordo (“fase uno“) tra Stati Uniti e Cina sarebbe ormai vicina.
Alcune aziende, come ad esempio ARM, hanno continuato a collaborare con Huawei e le altre imprese cinesi dichiarando che la tecnologia utilizzata nei loro progetti proveniva ad esempio dal Regno Unito.