Nei giorni scorsi vi avevamo dato conto dell’inserimento di Huawei nella “lista nera” delle aziende straniere con le quali le imprese USA non sono autorizzare a collaborare e fare affari: Huawei messa al bando negli Stati Uniti: pugno duro contro alcune società cinesi.
A stretto giro, dopo le prese di posizione di diversi colossi statunitensi, che hanno annunciato l’imminente chiusura delle relazioni con la società cinese proprio per adeguarsi alle nuove disposizioni (vedere Google e altre aziende USA interrompono le collaborazioni con Huawei), il Dipartimento del Commercio ha deciso di concedere 90 giorni di proroga durante i quali Huawei potrà continuare ad acquistare prodotti e servizi negli States al fine di manutenere le reti e gestire gli aggiornamenti per i suoi smartphone.
Sulla base delle ultime novità, Google ha confermato che per i prossimi tre mesi continuerà a concedere a Huawei gli aggiornamenti per i suoi dispositivi mobili mentre i fornitori hardware potranno completare la gestione degli ordini già pervenuti.
Non si esclude un’ulteriore proroga non appena ci si avvicinerà alla scadenza del 19 agosto prossimo ma il Dipartimento del Commercio ha comunque chiarito che per l’eventuale commercializzazione di nuovi prodotti all’interno del territorio statunitense, Huawei dovrà richiedere una specifica licenza.
Da parte sua, Huawei tiene a precisare che il “piano B” era probabilmente pronto già da tempo e si muoverà nel migliore dei modi per arginare le conseguenze della decisione assunta dall’amministrazione Trump.
È ovvio che Huawei può continuare a usare Android: il codice del sistema operativo AOSP (Android Open Source Project) è opensource ed è liberamente utilizzabile da chiunque, anche per creare versioni derivate.
Ciò che Huawei potrebbe non utilizzare più sono il Play Store di Google i Play Services dell’azienda di Mountain View. A questo proposito, voci di corridoio fanno riferimento a una probabile intesa tra Huawei e Aptoide, store alternativo a quello di Google.
Ovvio che portare applicazioni Google su un sistema non ufficialmente supportato dall’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin è cosa tutt’altro che impossibile ma abituare gli utenti a usare un ecosistema differente rispetto a quello che è ormai universalmente conosciuto non è affatto cosa semplice.
Difficile non osservare come una mossa quale quella messa in atto dagli Stati Uniti possa, alla lunga, ritorcersi proprio contro il Paese d’Oltreoceano e le aziende che lì hanno la loro sede principale.