La Commissione Europea, nell’ambito delle indagini per presunte pratiche anticoncorrenziali ed abuso di posizione dominante nei confronti di Google, avrebbe preso le proverbiali lucciole per lanterne. È la tesi della società fondata da Larry Page e Sergey Brin che oggi ha inviato alla Commissione un lungo documento per confutare, punto per punto, le accuse.
Contemporaneamente, Kent Walker – vicepresidente senior e consigliere generale di Google – ha pubblicato una nota sul blog dell’azienda (vedere questa pagina) con la quale ha voluto spiegare la posizione della società.
Secondo Google le accuse mosse in sede europea nei confronti della società a stelle e strisce sarebbero assolutamente fuori luogo e le conclusioni preliminari alle quali è pervenuta la Commissione Europea sarebbero errate nei fatti, da un punto di vista normativo ed in merito all’aspetto economico.
Walker ripete più volte, nel suo commento, che l’obiettivo di Google è da sempre quello di puntare sulla qualità e, di conseguenza, proporre attraverso il motore di ricerca ed i suoi servizi contenuti pertinenti, utili per risposte agli utenti. Google, secondo la tesi dell’azienda, non avrebbe mai volontariamente dirottato traffico che avrebbe potuto essere diretto verso i vari siti di shopping online.
Il motore di ricerca, sulla base degli algoritmi impostati dai tecnici di Google, avrebbe sempre teso a proporre contenuti in linea con le specifiche richieste degli utenti.
Secondo la difesa, che ha inviato agli ispettori della Commissione Europea una relazione con i dati di traffico relativi ad oltre un decennio di attività, Google avrebbe anzi aiutato (peraltro a costo zero) gli aggregatori sviluppati da terze parti che si occupano di proporre prodotti e servizi acquistabili dagli utenti.
Google parla di qualcosa come 20 miliardi di clic “gratuiti” diretti dal motore di ricerca ai vari aggregatori stimando un aumento di traffico, per questi servizi terzi, del 227%.
Viene anche rammentato l’utilizzo, sul motore di ricerca, di quella che viene chiamata Google Shopping Unit. Si tratta di un nuovo formato di advertising che raccoglie i prodotti acquistabili su più negozi, completamente differenti fra di loro. I vari prodotti sono proposti sulla base degli interessi dell’utente e per ciascuno di essi ne viene indicato il prezzo in modo che, a colpo d’occhio, possa essere effettuata una comparazione.
Walker ritiene ad esempio che tale formato non possa essere considerato anticompetitivo. Anzi, tutt’altro; aiuterebbe gli utenti nella scelta dell’acquisto migliore.
Google, insomma, vuole avere carta bianca nel posizionamento dei risultati delle ricerche e nella visualizzazione di eventuali messaggi pubblicitari in testa alle SERP del motore. E rigetta una possibile soluzione proposta dalla Commissione ovvero che Google mostri riferimenti pubblicitari e prodotti nella forma e nell’ordine indicati da aziende concorrenti. Per Google tale approccio è assolutamente non applicabile perché implicherebbe il venir meno a quegli standard qualitativi sino ad oggi utilizzati per rispondere in maniera adeguata e pertinente a ciascuna interrogazione degli utenti.
Un simile obbligo, si aggiunge, potrebbe avere una qualche valenza nei confronti di quelle aziende che hanno dei doveri nei confronti di realtà concorrenti (ad esempio società operanti nel settore della fornitura del servizio elettrico o di gas) ma non può essere applicato a Google perché – come invece accade nel caso dell’elettricità o del gas – non detiene il controllo di un “bene” essenziale e, allo stesso tempo, non disponibile in nessun altro modo.