In passato, tranne che nel 2013, quando abbiamo dato ampio risalto alla vicenda (vedere Corte europea: gestori dei siti responsabili dei commenti?) è sembrato assodato che il gestore di un sito web che permette la pubblicazione di contenuti da parte degli utenti-lettori agisca come “intermediario della comunicazione”. Egli, cioè, fornisce un servizio che consente agli utenti di comunicare vicendevolmente ma non può essere chiamato a rispondere del contenuto dei messaggi pubblicati dagli iscritti.
Sarebbe come se Facebook o Twitter fossero chiamati a rispondere in sede civile e penale di tutti i messaggi pubblicati dai loro utenti.
Ha sollevato quindi grande scalpore, in questi giorni, una sentenza della Corte di Cassazione che – secondo il parere di molti – costituirebbe un grave precedente.
La vicenda coinvolge, in questo caso, il titolare di un sito web – una community – sul mondo del calcio e il Presidente della Lega Nazionale Calcio, Carlo Tavecchio.
La sentenza è stata resa nota già da qualche giorno (qui la copia del provvedimento diffusa da “La Repubblica“) ma abbiamo preferito analizzarla con calma prima di trarre delle conclusioni, ove possibile.
Diciamo subito che la sentenza della Cassazione, diversamente da quanto riportato dalla maggioranza dei siti e dei blog italiani, non configura la responsabilità del gestore a fronte dei contenuti pubblicati dagli utenti-lettori.
Nel caso di specie, un utente ha pubblicamente diffamato – con un suo commento – Tavecchio diffondendone anche il presunto certificato penale. Lo stesso utente ha poi contattato il gestore del sito inviandogli lo stesso documento pubblicato sotto forma di commento.
Nei giorni successivi, il titolare della community avrebbe poi scritto un articolo citando il messaggio oggetto di contestazione e ponendo una serie di interrogativi.
I giudici della Corte di Cassazione, quindi, paiono asserire che un gestore diviene responsabile del contenuto dei messaggi illeciti pubblicati dagli utenti nel momento in cui venga a sapere della loro esistenza e non si attivi per gestirli in maniera adeguata (i.e. rimozione).
“Qui i giudici della Cassazione sembrano prendere una cantonata grave e preoccupante e, sebbene con il rispetto che si deve a chi fa una professione incredibilmente difficile “in nome del popolo”, non si può fare a meno di metterlo nero su bianco senza esitazioni né reticenze“, scrive l’avvocato Guido Scorza, docente di diritto delle nuove tecnologie e presidente dell’istituto per le politiche dell’innovazione. “Avere notizia dell’avvenuta pubblicazione da parte di un terzo all’interno di un proprio sito internet di un determinato contenuto ed avere, di conseguenza, l’opportunità di valutarne la liceità non basta a rendere il gestore di una piazza online responsabile per l’eventuale illiceità del contenuto in questione“.
Scorza ricorda, insomma, che è fondamentale che il titolare del sito – che agisce come “intermediario della comunicazione” – abbia notizia del carattere illecito del contenuto pubblicato da parte dei suoi utenti.
“Si tratta di un insuperabile principio di civiltà giuridica scolpito da oltre 15 anni nella disciplina europea sul commercio elettronico a tutela proprio della Rete come volano e megafono della libertà di informazione“, continua ancora Scorza.
Diversamente da quanto riportato da diverse testate, comunque, non sembra scaturire un obbligo automatico di controllo a carico dei gestori dei siti web e dei titolari di un qualsiasi blog.
Fortunatamente siamo ancora ben lontani dal parlare di autocensura: secondo il parere prevalente, la sentenza della Cassazione non modificherebbe il quadro normativo attuale e non rappresenterebbe un problema per tutti coloro che gestiscono un sito web.
È comunque importante seguire con attenzione la tematica: gli sviluppi futuri sono tutt’altro che scontati.