Una sentenza della corte federale tedesca, equivalente alla nostra Cassazione, ha messo la parola fine ad una vicenda che vedeva protagonista il motore di ricerca di Google.
I giudici si sono dovuti esprimere a proposito delle lamentele di un imprenditore che, digitando il suo nome e cognome nel motore di ricerca di Google, aveva visto affiancate le parole “truffa” e “scientology“. I due termini, che l’imprenditore ha ritenuto non solo falsi ma anche diffamatori (e quindi lesivi del suo onore, della sua immagine e della sua reputazione), venivano automaticamente consigliati dal servizio “Autocomplete” di Google (precedentemente conosciuto col nome di Google Suggest), sotto forma di “ricerca correlata”.
Autocomplete, com’è noto, permette di semplificare le ricerche offrendo indicazioni sulle interrogazioni più frequentemente inviate dagli utenti, riduce gli errori di ortografia (nella casella di ricerca di Google compaiono le parole chiave nella forma corretta) e consente l’introduzione più rapida delle informazioni (non serve più digitare l’intera query ma è possibile scegliere tra quelle proposte).
Così come avevano i sentenziato i togati del Tribunale di Milano nel 2011, anche la Germania ha imposto a Google di eliminare immediatamente “l’accostamento” dei termini ingiuriosi al nome dell’imprenditore denunciante specificando però che la società di Mountain View non è tenuta ad un controllo a priori delle informazioni proposte agli utenti.
La decisione tedesca, sulla falsa riga di quella presa dai giudici italiani tempo fa, si attiene alle disposizioni europee che dispensano l'”intermediario della comunicazione” dall’effettuare controlli ex ante e dall’imporre filtri. Viene quindi accolta la tesi di Google come ha sempre descritto Autocomplete come uno strumento automatizzato, basato su un algoritmo che tiene esclusivamente conto delle interrogazioni precedentemente poste in essere dagli altri utenti del motore di ricerca.
Google non deve quindi assolutamente modificare gli algoritmi alla base del funzionamento di Autocomplete ma deve limitarsi ad intervenire a posteriori eliminando accostamenti tra parole “scomode” come quelli denunciati dall’imprenditore tedesco.
Anche l’ex first lady tedesca, Bettina Wulff, aveva avviato una vertenza legale contestando a Google l’associazione del suo nome con alcuni termini legati alla prostituzione. Il procedimento era stato sospeso in attesa del pronunciamento della Cassazione: a questo punto, anche il caso Wulff dovrebbe incanalarsi sulla stessa via e concludersi positivamente per entrambe le parti.