Nell’aula del Senato è in corso di discussione il cosiddetto DDL “salva-Sallusti” in materia di diffamazione a mezzo stampa. Per il momento l’approvazione non c’è stata e questo risultato, allo stato attuale, viene valutato positivamente da chi s’intende di informazione online. Sulla scorta della vicenda Sallusti, ex direttore de “Il Giornale“, il provvedimento “avrebbe dovuto garantire maggiore libertà di informazione ai giornalisti della carta stampata, sottraendoli dal rischio di finire in galera nell’esercizio della propria attività“, osserva l’avvocato Guido Scorza, dottore di ricerca in informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie. In realtà sono ricomparse alcune disposizioni che potrebbero portare al polo opposto ossia mettere degli evidenti paletti alla libertà d’espressione, soprattutto online.
L’obbligo di rettifica, ossia la modifica di qualunque contenuto pubblicato in Rete entro poche ore dall’invio di una semplice contestazione, sembra venire esteso a tutti i siti web, di qualunque genere essi siano (anche amatoriali, quindi).
L’edizione italiana di Wikipedia è quindi immediatamente tornata sul piede di guerra: “il disegno di legge, se approvato, potrebbe imporre a ogni sito web (ivi compresa Wikipedia) la rettifica o la cancellazione dei propri contenuti dietro semplice richiesta di chi li ritenesse lesivi della propria immagine o anche della propria privacy, e prevede la condanna penale e sanzioni pecuniarie fino a 100.000 euro in caso di mancata rimozione. Simili iniziative non sono nuove, ma stavolta la loro approvazione sembra imminente“, si legge sulla home page dell'”enciclopedia libera”. “L’approvazione di questa norma obbligherebbe ad alterare i contenuti indipendentemente dalla loro veridicità“, aggiunge Wikipedia valutando l’impianto generale del DDL come un provvedimento profondamente liberticida. “Un simile obbligo snaturerebbe i principi fondamentali di Wikipedia, costituirebbe una limitazione inaccettabile alla sua autonomia e una pesante minaccia all’attività dei suoi 15 milioni di volontari sparsi in tutto il mondo, che sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per <<non avere problemi>>“.
Scorza, nella sua analisi, estrapola uno dei passaggi dei tanti emendamenti presentati: “Chiunque potrà “chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca [n.d.r. quasi che si trattasse di soggetti di diritto!] l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della presente legge [n.d.r. legge che non ha nulla a che vedere con il trattamento dei dati personali!]“, scrive il legale concludendo come un pugno di caratteri possa di fatto “condannare a morte la libertà di informazione online“.
La stesura, va detto, non è fortunatamente quella definitiva ma gran parte di coloro che “vivono la Rete” e ne conoscono bene le dinamiche si augurano che questioni delicatissime come quelle affrontate dal DDL vengano opportunamente soppesate prima di partorire un mostro capace di calpestare senza rispetto e consapevolezza, come osserva Scorza, quello “straordinario ruolo che l’informazione diffusa attraverso Internet sta giocando, in Italia e nel resto del mondo in termini democratici“.
Estremamente critico è anche Marco Polillo, presidente degli editori di libri (Associazione Italiana Editori): “questo provvedimento getta una pesante ombra sul rispetto di un principio cardine per la società civile e democratica come la libertà di stampa e di informazione e impatta in modo significativo sulla nostra attività di editori“. Gli obblighi imposti dal DDL, compreso quello di rettifica, vengono esplicitamente estesi anche ai libri: “queste norme costringerebbero di fatto autori ed editori a una censura preventiva e contraria ai principi di libertà democratica“, continua il presidente dall’AIE. “Sia chiaro a tutti, (le nuove regole, n.d.r.) non riguarderebbero solo i cosiddetti libri d’inchiesta ma tutta la produzione libraria, dai libri di scuola (perché non rettificare un’analisi sulla storia contemporanea?) alle enciclopedie fino alla saggistica e alla narrativa (perché non rettificare libri di mafia?)“.
Con un’impostazione del genere, conclude Polillo, si fa prima a non pubblicare più alcun libro. “Già oggi chi diffama attraverso le pagine di un libro ne risponde, come è giusto che sia. Con questo provvedimento invece chi si sente diffamato potrebbe chiedere un’immediata rettifica entro 7 giorni su due giornali, in modo illimitato e con sanzioni sproporzionate nei tempi e nei modi: questo diritto di replica, incondizionato e senza commento, per il nostro settore potrebbe essere davvero pericoloso perché non fa alcuna distinzione tra notizie vere, notizie sbagliate pubblicate in buona fede e notizie false pubblicate in malafede. Sono norme contraddittorie, sproporzionate e, diciamolo chiaramente, irragionevoli“.