Smartphone che emettono più radiazioni: quali sono?

Radiazioni elettromagnetiche e smartphone: una recente sentenza boccia senza appello l'utilizzo eccessivo dei cellulari. Cos'è il SAR e quali sono i parametri che possono incidere negativamente quando si usa un dispositivo dotato di uno o più moduli ricetrasmittenti.
Smartphone che emettono più radiazioni: quali sono?

I giudici del tribunale di Ivrea, dopo essersi avvalsi dell’opera dei consulenti tecnici, hanno recentemente disposto un “risarcimento perpetuo” a favore di un ex dipendente Telecom che per motivi di lavoro, per 15 anni, ha utilizzato il telefono cellulare fornitogli dall’azienda per oltre tre ore al giorno. È stato infatti riconosciuto un legame “causa-effetto” tra l’uso intensivo del cellulare e la comparsa di una malattia tumorale.

Si tratta di una “sentenza shock” per diversi motivi. Ad oggi, infatti, non è stata scientificamente dimostrata una correlazione tra l’esposizione prolungata alle radiazioni elettromagnetiche e problemi di salute. Numerosi studi si sono susseguiti nel corso del tempo ma ad oggi non si è mai pervenuti a conclusioni scientificamente incontrovertibili.
Lo ricorda ad esempio l’AIRC (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) che citando la stessa Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) evidenzia come i campi elettromagnetici siano classificati quali cancerogeni di gruppo 2B, ovvero come “sospetti agenti cancerogeni per i quali vi è una limitata prova di cancerogenicità negli esseri umani e un’insufficiente prova di correlazione nei modelli animali“.

Ma quali sono gli smartphone che emettono più radiazioni e di quali radiazioni si sta parlando?

Smartphone che emettono radiazioni elettromagnetiche

Tutti gli smartphone, così come i vecchi cellulari (oggi sono chiamati feature phone) emettono radiazioni elettromagnetiche. Così come un telefono cordless, un router WiFi, una qualunque antenna di un’emittente televisiva o di una radio, il forno a microonde, i dispositivi medicali e così via.

Oggi siamo ormai immersi in un mare di radiazioni elettromagnetiche: esse permeano la nostra civiltà e derivano sia da sorgenti naturali che artificiali, come quelle citate in precedenza. Uno degli aspetti più importanti è quello relativo all’intensità dei campi elettromagnetici e quindi al tema delle potenze in gioco.

Come valutare quindi i livelli di emissione dei principali modelli di smartphone disponibili sul mercato?

Il parametro che viene generalmente utilizzato per capire quali smartphone emettono più radiazioni si chiama SAR, acronimo di Specific Absorption Rate.
Riferito alla testa oppure al corpo, SAR esprime la quantità di potenza da radiofrequenze assorbita dal corpo umano nell’unità di tempo quando esso viene esposto al campo elettromagnetico prodotto dallo specifico modello di cellulare o smartphone.
I valori sono indicati in Watt per chilogrammo (W/kg) e non possono superare i 2 W/kg in Europa e gli 1,6 W/kg negli Stati Uniti.

I valori SAR per ciascun telefono vengono verificati con criteri molto rigorosi: il dispositivo viene posto a contatto della testa di un “manichino” e a 1 cm dalla superficie esterna (per simulare la presenza degli abiti) quindi vengono effettuate una serie di rilevazioni.
Durante i test tutti i radiotrasmettitori vengono impostati alla massima potenza così da simulare la “condizione peggiore”. I valori SAR, quindi, esprimono non soltanto il potenziale massimo assorbimento in chiamata ma prendono anche in considerazione la situazione più estrema che molto difficilmente si realizzerà nei casi reali.

Nell’articolo Radiazioni smartphone: i parametri SAR aggiornati dei vari modelli, una lista degli smartphone con valore SAR più contenuto e più elevato in assoluto. Com’è facile verificare, in tutti i casi il valore SAR massimo rilevato è ovviamente inferiore ai limiti definiti per legge.

Senza presunzione di avere valore tecnico-scientifico, l’app Quanta Monitor per dispositivi Android consente di calcolare il valore SAR istantaneo per lo smartphone che si sta usando.
La misurazione non può, com’è ovvio, essere precisa in quanto stimata solamente via software ma ben evidenzia le differenze quando ci si trova in chiamata, si scambiano dati in modalità 3G/4G e quando il telefono è in stand-by.

Ridurre l’esposizione ai campi elettromagnetici è sempre consigliabile

Gli studi epidemiologici e sperimentali condotti fino a oggi non hanno mostrato correlazioni significative tra l’esposizione a campi magnetici e un’aumentata insorgenza di cancro, né nei bambini e né negli adulti“, osserva l’AIRC ma utilizzare cautela è in ogni caso consigliabile, aggiungiamo noi.

Abbiamo da sempre “scagionato” i dispositivi WiFi, troppo spesso presi di mira da inutili e controproducenti campagne allarmistiche: Il Wi-Fi è pericoloso per la salute? I falsi miti da sfatare.
Prima di guardare al WiFi, quindi, è semmai bene volgere lo sguardo altrove partendo però da alcune informazioni tecnico-scientifiche dalle quali non è possibile prescindere.

Le radiazioni caratterizzate da una lunghezza d’onda molto contenuta sono le più pericolose e sono dette ionizzanti (si pensi all’ultravioletto, ai raggi X e ai raggi gamma).
Tali radiazioni portano con sé energia sufficiente per ionizzare atomi o molecole ovvero per rimuovere completamente un elettrone da un atomo o molecola.
Non a caso, proprio per proteggersi dall’esposizione ai raggi ultravioletti solari (UV) viene sempre consigliato l’utilizzo di una apposita crema; durante gli esami radiologici i pazienti sono obbligati a indossare adeguate protezioni a difesa di organi particolarmente sensibili.

Le radiazioni elettromagnetiche dei dispositivi WiFi e degli smartphone, invece, sono non ionizzanti la lunghezza d’onda è inferiore a quella della luce (spettro ottico, visibile) e non vi sono rischi di alterazione delle molecole.

Il problema può derivare, semmai, dalle potenze in gioco.

Il segnale emesso da un router WiFi o da una scheda wireless installata in un personal computer è solitamente dell’ordine dei 100 milliwatt, valore che è ampiamente al di sotto della soglia considerabile come potenzialmente pericolosa.
In Italia, tra l’altro, qualunque privato può allestire un hotspot WiFi a patto di rispettare le potenze massime consentite ovvero 20 dBm EIRP o 100 mW (vedere gli articoli Router region, differenze tra le impostazioni regionali; Realizzare un collegamento WiFi a lunga distanza e Aumentare la copertura della rete WiFi).

Nel caso dei cellulari e degli smartphone, le potenze in gioco sono più elevate ma va tenuto presente che in tutti gli scenari il segnale radio si diffonde secondo la legge dell’inverso del quadrato: via a via che ci si allontana dall’emettitore, cioè dal dispositivo, la potenza del segnale scende rapidamente.
Se un router WiFi trasmette con una potenza pari a 100 mW (0,1 W), a distanza di due metri si assorbiranno appena 0,025 Watt; a quattro metri 0,00625 Watt e così via (la formula è molto semplice: 1/d2 dove d è la distanza dall’emettitore).


Spegnere un router WiFi perché si hanno dubbi sulla sua potenziale pericolosità, non ha comunque alcun effetto se, ad esempio, non si spengono definitivamente il cellulare o lo smartphone: l’assorbimento di onde elettromagnetiche generate da un hotspot WiFi in un intero anno può essere paragonato ad una chiamata su telefonia mobile di appena 20 minuti.

Il principale effetto dei campi elettromagnetici (soprattutto quelli a radiofrequenza) sul corpo umano è il riscaldamento: si tratta dello stesso effetto (in questo caso, “desiderato”) che si ottiene nel riscaldare i cibi con il forno a microonde.
Quando si ha a che fare un dispositivo WiFi, considerate anche le distanze a cui lo si utilizza, i livelli di esposizione sono talmente bassi per causare un riscaldamento significativo e, di conseguenza, per provocare un qualche effetto biologico rilevante.
Nel caso dei cellulari e smartphone, quando usati in conversazione, un semplice auricolare Bluetooth è sempre consigliabile per chi voglia essere sempre il più cauto possibile.

Vista la bassissima potenza dell’auricolare Bluetooth, i valori di emissione sono sempre molto contenuti e la stessa presenza dello smartphone, posizionato a 1,5 metri dal dispositivo, influenza di poco il risultato della misura (a patto di non tenere, evidentemente, il cellulare a stretto contatto con il corpo).
Con l’utilizzo degli auricolari a filo i valori del campo elettrico sono ancora più bassi se paragonati a quelli con l’uso dell’auricolare Bluetooth, tenendo però presente che il dispositivo mobile non andrebbe comunque tenuto vicino al corpo, specie durante le conversazioni telefoniche.
Le autovetture, poi, sono una sorta di gabbia di Faraday: i dispositivi wireless come cellulari e smartphone fanno più fatica a gestire il segnale dovendo quindi ricorrere a potenze più elevate (è banale che più il livello di segnale è elevato, minore sarà la potenza cui dovrà lavorare il modulo ricetrasmittente dello smartphone o del cellulare…). In questi frangenti, quindi, l’uso di un auricolare o il collegamento del dispositivo mobile all’impianto stereo/entertainment del veicolo via Bluetooth è sempre la soluzione migliore.
E quando non si potesse proprio usare un auricolare, il consiglio – soprattutto durante le telefonate di lunga durata – il consiglio è quello di tenere il dispositivo a circa 5 centimetri di distanza dall’orecchio.

Infine, una considerazione che ci pare piuttosto rilevante e ben evidenzia come da molte parti non ci si faccia problemi a cavalcare allarmismi e fobie.
Sono tanti i siti web che propongono fantomatiche soluzioni per sostituire i dispositivi WiFi.
Fermo restando che ciascuno è libero di comportarsi come meglio crede (scegliendo ad esempio di usare solo reti cablate; ad esempio ricorrendo solo a dispositivi di networking collegati via cavo Ethernet…), per le ragioni sin qui illustrate pare quanto mai fuori luogo il consiglio di dotarsi di un “adattatore” 3G/LTE con tanto di SIM da inserirvi per “tutelarsi dalle onde elettromagnetiche emesse dal router WiFi“.

La sentenza del tribunale di Ivrea che ha stabilito una relazione causa-effetto tra utilizzo intensivo di cellulari e formazione di un tumore (benigno; neurinoma del nervo acustico) dell’aprile 2017 (Roberto Romeo, ex dipendente Telecom avverso INAIL) non è la prima.
Nell’ottobre 2012 la Corte di Cassazione ha riconosciuto una pensione di invalidità al manager Innocente Marcolini che aveva lamentato un tumore benigno al nervo trigemino correlando la patologia a un utilizzo eccessivo del cellulare (5-6 ore al giorno in chiamata per oltre 10 anni).

Una sentenza non costituisce, però, una prova scientifica“, osserva AIRC. “Molti esperti hanno infatti ribadito che tale sentenza non trova solida giustificazione nella scienza poiché non esistono prove scientifiche di un nesso di causa-effetto tra l’uso dei cellulari e i tumori del collo e della testa“.

In conclusione, quindi, è certamente utile porre in essere le precauzioni del caso illustrate in precedenza ma analizzando i vari casi e senza inutili allarmismi.

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